L'Olanda del calcio totale


Nella terra dei tulipani alla fine degli anni sessanta nasce un nuovo verbo: il Calcio Totale. Una generazione di talenti e un tecnico rivoluzionario alla base della nazionale arancione che stravolse tutti gli stilemi del footballIL Potendo contare su campioni assoluti in ogni zona del campo, impostò il gioco su pochi punti fermi. Innanzitutto, il portiere Jongbloed una sorta di sberleffo ai canoni consolidati e più tradizionali del ruolo: atto agli azzardi più temerari, si comportava da difensore tout court, sovente costretto dalle evenienze tattiche a disimpegnarsi ricorrendo a recuperi avventurosi, balzi goffi ma quasi sempre efficaci, salvataggi di piede al limite della gag comica. Gianni Brera da par suo lo liquidò malignamente: «Jongbloed, il portiere macchietta, che fa il tabaccaio ad Amsterdam»; ma alla prova dei fatti il giocatore si dimostrò all'altezza contro le più diffuse previsioni dell'avvio. Davanti a lui, due difensori centrali rigorosamente a zona, Haan, il "libero" della situazione secondo le nostre categorie mentali, e lo "stopper" Rijsbergen, distinguibili in queste due etichette solo per la più netta propensione del primo a costruire gioco, rispetto alla vocazione tipicamente difensiva del secondo, baluardo centrale per antonomasia sin dalla conformazione fisica. A centrocampo, due fulcri, Jansen e il "centrale" Van Hanegem. La lista dei "ruoli" finisce in pratica qui. Tutto il resto è movimento, sovrapposizioni, interscambi. Sui lati giocano a destra Suurbier e a sinistra Krol, due terzini-ali disponibili costantemente all'avanzata così come a scambiarsi le corsie o ad accentrarsi. Loro prolungamenti laterali sono Rep a destra e Rensenbrink a sinistra, punte anche queste molto atipiche, pronte al ripiegamento ma soprattutto a battere sempre nuove piste di campo, in un complesso basato sulla sostenibile leggerezza del calcio totale. Non per niente gli olandesi sono noti per l'anticonformismo anche fuori dal campo. Ritiro con mogli e compagne, preparazione fisica eccellente, ma anche grande libertà individuale nella gestione del tempo libero. Secondo un concetto di responsabilità professionale personale difficilmente comprensibile dalle nostre parti, ma fonte di freschezza mentale durante la partita, quasi che la libertà del gioco riflettesse una più generale vocazione a inseguire l'estro in ogni angolo dell'esistenza. Il centrocampo si completa con Johan Neeskens, l'emblema del superamento dei ruoli. Può giocare difensore, mediano, regista, rifinitore e soprattutto attaccante, come suggerisce la sua media gol. Lo supera in classe pura solo l'altro Johan, il divino Cruijff, che della squadra è il teorico centravanti. In effetti, viene di solito deputato a marcarlo un torreggiarne stopper. Ma la sua forza sta nella capacità di scivolare come un'anguilla tra le maglie della partita, partecipando al tourbillon offensivo per poi proiettarsi a concludere, ora da punta, ora da interno in avanscoperta, nei momenti meno preventivabili. Lo schema più tipico è una sorta di assedio di Fort Apache: i giocatori si passano la palla in semicerchio, da un lato all'altro del campo, avanzando progressivamente il proprio raggio d'azione, fino a stritolare la difesa avversaria, beffandola con improvvise partenze in triangolo che proiet­tano un giocatore in area di rigore. I successi del calcio olandese di club, monopolisti della Coppa dei Campioni dal 1970 al 1973, annunciarono al mondo una sorta di piccola rivoluzione, basata su un atletismo spinto e sulla rinuncia alle specializzazioni di ruolo. Motivi probabilmente già elaborati nel calcio di quel Paese, ma portati solo allora alla ribalta dalla fioritura di una generazione di fuoriclasse, l'ideale per tradurre nella migliore delle realtà qualunque strategia tattica. Quando le regine Ajax e Feyenoord cominciarono a declinare, depauperate dalla fuga degli assi verso dorati lidi stranieri, irruppe sulla scena del mondo la Nazionale olandese, che ne realizzava mirabilmente la sintesi. Rinus Michels, selezionatore dell'Olanda per il Mondiale 1974, attinse il meglio dalle due dominatrici del calcio orange, costruendo una squadra formidabile. La "bomba" tattica deflagra con fragore. Non si era mai visto niente del genere, specie per la disinvoltura fisica con cui un così costante impegno offensivo viene gestito dal primo all'ultimo minuto. L'italianista Gianni Brera è meno disponibile di altri ad apprezzare, eppure nel suo racconto non si fatica a scorgere l'ammirazione, sia pure tra le righe della critica più dura: «Gli olandesi sprizzavano energia e divertimento da tutti i pori. Quando non dovevano rischiare le gambe, Cruijff e Neeskens inscenavano giostre ineffabili. Il loro genio si trasmetteva a un complesso non meno dotato che esperto. Contro l'Olanda si sono scornati uruguagi e bulgari, argentini e tedeschi orientali, non però gli svedesi e, pensandoci nemmeno i brasiliani, che pure non avevano attacco. Si spropositava per gli olandesi di calcio totale, diciamo pure di panturbiglione, di girandola continua: non mi è accaduto di vedere in attacco sull'estrema destra i due terzini d'ala? Ogni schema difensivo andava a ramengo dietro all’ ispirazione e al ritmo dell'azione offensiva. Era questo un difetto che secondo logica gli olandesi avrebbero dovuto pagare. Già con il Brasile nel turno semifinale, avevano lasciato tre comode palle gol ad attaccanti che le sciuparono miserevolmente. Il povero Zagallo (il ct brasiliano ai Mondiali 1974), che giocava uno splendido calcio difensivo, non aveva attaccanti che valessero come Pelé e Garrincha e neanche come i vecchi arrembati "italioti" Altafini e Clerici. Dopo aver tanto sprecato, era fatale che il Brasile lasciasse via libera agli olandesi. E questo precisamente avvenne: però chi aveva occhi per vedere non poteva dimenticare le disinvolture difensive, diciamo pure le cicalate che perpetravano Cruijff e compagni. Nello stilare il pr­nostico della finale me ne sono ricordato. I tedeschi hanno messo un duro come Vogts su Cruijff e si sono asserragliati intorno a Beckenbauer. Il principe Franceschino si è ben guardato, per l'occasione, di uscire a bailar fùtbol come soleva nelle partite facili. E rimasto al centro dell'area e sì è battuto con la modestia di un capitano conscio di sé e degli avversari. Vogts è subito incap­pato in un fallo da rigore ma poi ha convinto Cruijff che fosse meglio girare al largo. Le caviglie dei miliardari sono preziose anche in Olanda. Il presuntuoso calcio totale ha mostrato le sue pecche e il calcio difensivista i suoi pregi di modestia e di praticità. In Italia avevano tutti pronosticato Olanda ma la Germania vinse quei mondiali giocando all'italiana. Lo confermò papale papale anche Beckenbauer: ovviamente, ha precisato, con il nostro impegno, la nostra rabbia». In fondo, i valori assoluti avrebbero meritato alla squadra la vittoria (peraltro non usurpata dalla splendida Germania) che la sventatezza tattica contribuì in parte a negare. La zona dell'Olanda di Michels si basava su un modulo altamente spettacolare. Caratteristiche tecniche universali in pressoché tutti gli uomini, classe superiore alla media e vigore fisico straripante (indispensabile per ritmi così intensi di attività offensiva) erano alla base di un calcio tanto bello quanto, alla prova dei fatti, povero di risultati: se i club raccolsero moltissimo, la Nazionale arancione non andò oltre due secondi posti consecutivi alle rassegne mondiali. Qui sta il difetto di fondo di quel modulo, costruito attorno a un nucleo di campioni decisi in campo a divertirsi e divertire più che a vincere. I continui interscambi e la velocità di esecuzione fecero parlare di "gioco totale". Ma la magia stava soprattutto nella qualità degli interpreti e già quattro anni dopo Monaco, in Argentina, l'assenza di sua maestà Cruijff fu sufficiente a limare di molto i picchi spettacolari della squadra. In cui ben presto, spariti di scena i califfi e subentrate le mezze figure della generazione immediatamente successiva, le vocazioni totali finirono con lo scadere miseramente a velleità.

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