Il balzo di un puma quel gol di Gigi Riva

Quel gol che portò l'Italia in Messico fu il balzo di un puma con le sembianze di un uomo. "Ricordo quella rete, l'emozione nel cuore, il boato della folla, una gioia indescrivibile, cose che neanche se uno si ammalasse di Alzheimer potrebbe dimenticare...". Stadio San Paolo di Napoli, 22 novembre 1969, Italia contro Germania Est. La partita decisiva per andare ai Mondiali e affrontare il Brasile di Pelè. Gigi Riva raccoglie i ricordi con quel suo tono secco, senza fronzoli. "Segnai il 3 a 0.Domenghini stava lavorando un pallone sulla fascia destra alla sua maniera, e correva. Io aspettavo il momento migliore per inserirmi in area. Vidi arrivare una palla tesa, forte, non mi restava che buttarmi con il corpo in avanti. Pensai: dai Gigi, devi guadagnare mezzo secondo di tempo, altrimenti non ce la fai. Mi inarcai, tuffandomi. Schiacciai il pallone di potenza con la testa, verso la porta. Poi sentii un boato spaventoso al San Paolo, una gioia incontenibile. "Sì, certo, dissi no ad Agnelli. Cos'altro avrei potuto fare?", si chiede oggi Riva. "La Sardegna mi diede una casa, un affetto immenso, una famiglia. I soldi, anche quelli. Ma l'umanità della gente, l'amore, non avevano prezzo. Che belli, quegli anni. E quel 1969. Forse il momento migliore per me, ero in una condizione splendida. E quello stadio, e Napoli che esplodeva...". San Paolo di Fuorigrotta, ottantamila sguardi sulla Nazionale. E quel gol. Corre, Domenghini, come solo lui sapeva fare. Rivolge lo sguardo al compagno. Riflette un istante. Si sarà detto: aspetta Gigi, ti ho visto, mi affido a te, sei capace di tutto. Parte il cross, lungo, morbido, teso verso il centro dell'area. Riva è già lì, ma all'inizio non si vede. Le telecamere ritagliano un fazzoletto verde di erba e basta. Poi in basso nei teleschermi, del tutto imprevisto, si vede spuntare un missile umano. Proprio così, un razzo con i motori incandescenti. Arriva veloce, inafferrabile. Si impone al raggio ottico della telecamera, volando, ventre a terra: dovete inquadrarmi, sono qui, non potete non riprendermi. Non s'è mai visto un numero 11 sospeso nell'aria come un falco, eppure al San Paolo accade. Il tuffo e la città violenta Segna, Riva, segna. Fallo per tutti quelli che hanno la rabbia dentro e vogliono riscattarsi. E poco importa se da una rete si pretende tanto, se la trasformi in un messaggio politico, impegno troppo gravoso per una palla di cuoio. Riva si spinge con la testa lì dove ogni altro calciatore sarebbe giunto in scivolata, con i piedi uniti per lo sforzo. Un tuffo lungo interminabili istanti di adrenalina pura. "Mi dicevo: guadagna tempo, Gigi, strappa quel mezzo secondo in più, ecco, colpisci ora...". In quella stessa giornata e forse proprio in quei minuti, in un'altra parte di Napoli non contagiata dall'urlo dello stadio, un italo-canadese spaccia dollari falsi e viene ammanettato in un bar del centro. E mentre Gigi vola, caspita come vola quell'ariete, Giuseppe di San Giorgio a Cremano viene morso all'orecchio durante una lite con un automobilista. E Riva è già un frammento più avanti e ha quasi colpito la palla scagliandola verso la porta, quando un manovale di venti anni muore tamponato da un'auto a Brusciano. E alla periferia della città un uomo viene ferito con due pistolettate solo perché curiosava in una vettura, e intanto Gigi vola, e quelli del San Paolo lo seguono con il cuore in gola, ce la farà, non ce la farà, e il portiere capirà, riuscirà a parare. E intanto la vita scorre e con essa la morte, e la piccola Immacolata residente con la famiglia in via Bernardo Tanucci muore intossicata ad appena tre mesi perché la madre per errore le ha somministrato un prodotto per gestanti. E intanto Riva vola sempre di più verso la palla, sospeso in aria, ma come si fa a restare tanto tempo librati a un metro da terra, senza cadere, è qualcosa di sovrumano. In quegli stessi secondi, cinquanta automobilisti restano appiedati in piazza teatro San Ferdinando perché hanno consegnato le chiavi a due parcheggiatori abusivi condotti in questura dalla polizia. Diavolo di una città, si ripetono sempre le stesse cose e non sono quasi mai belle cose. L'Italia della Nazionale '70. Però almeno quell'Italia lì sembrava più unita, meno egoista, si ritrovava nel calcio, anche se il boom economico era finito da un pezzo e in quei giorni di novembre l'agente Antonio Annarumma veniva ucciso a 22 anni a Milano nei disordini in piazza tra dimostranti e forze di polizia. E il presidente del Consiglio Rumor in parlamento esortava a resistere ad ogni tentativo eversivo. "Era un'altra epoca, un calcio diverso, anche una società diversa - ricorda Riva -. Resistevano valori umani che non ci sono più. Tra noi eravamo davvero amici. Gli ambienti intorno al pallone sono cambiati. Oggi si gioca una partita quasi ogni giorno, per mascherare i problemi dell'Italia. I calciatori vivono tra gossip e veline. Anche noi andavamo con le veline, cosa credono. Ma non cercavamo le prime pagine, non portavamo le ragazze sulla spiaggia giusta per farci fotografare. Ed eravamo pure più concreti". Nel bene e nel male il paese aveva contorni netti, proprio come Riva al San Paolo mentre spicca il balzo verso la porta difesa da un portiere inebetito, e non può essere che questo si lanci così - pensava l'ultimo difensore - ma siamo ammattiti, vuole farsi male. No Riva non vuole farsi del male, ha solo grinta, una voglia epica di vincere, e intanto guadagna altri centimetri di volo, Riva non si impressiona quando capisce che sta per toccare la palla con la testa, proprio come un missile. E la tocca, perbacco se la tocca., colpisce la palla di testa. La fa schizzare in rete con la velocità di un missile, un missile lunare, e trafigge lo sventurato portiere Croy ed è un gol fenomenale e tutto lo stadio si alza in piedi e sembra un intero paese compatto e fuso in un comune sentire. "A Napoli avevano particolare simpatia per noi e per quelli del Cagliari in particolare", ricorda il calciatore. "Allora eravamo l'unica squadra in grado di contrastare lo strapotere calcistico di Milano e Torino. Nel centro-sud scattava un meccanismo di identificazione. A Napoli, poi, era straordinario". Adesso esulta, Riva: solleva le braccia al cielo, raccoglie l'emozione irripetibile di un applauso di massa. Domenghini lo stringe: Gigi, Gigi. "Fu meraviglioso, un intero stadio per noi. Napoli mi ha sempre regalato gioie forti". Il volto ancora più scarno e i muscoli contratti scolpiscono una pazza vertigine sul viso. Correva, Riva, come un puledro senza briglie nel grido degli ottantamila: gol, gol, gol."Rete, rete, rete", urlava Nando Martellini ai microfoni della telecronaca. Quel gol. Un sortilegio, l'invenzione di un genio con le fattezze squadrate di atleta. "Ci giocavamo la qualificazione - racconta Riva - dovevamo assolutamente vincere per andare in Messico. La Germania Est era una buona squadra. Sentivo molto la responsabilità, partecipai a tutti e tre i gol, anche se sbagliai un rigore. Il primo nacque da una conclusione mia, respinta, che poi Mazzola mise in porta. Il secondo venne da un mio assist per Domenghini. E l'ultimo...". L'ultimo fu un lampo. La prodezza di uno che non tirava mai indietro la gamba, anche a costo di rompersela. Difatti se la ruppe parecchie volte. Un eroe moderno. Poco italiano, nel senso che assumeva tutti i rischi del mestiere su di sé. Quello che rifiutò l'offerta di Agnelli e la Juventus. Secoli di orgoglio meridionale condensati in un "no". Il sud contadino che si affranca dal nord industriale. La Sardegna che detta la linea al continente. E si toglie lo sfizio di un rifiuto all'uomo più potente d'Italia. gig

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