Il gol di Turone alla Juventus, una ferita nel cuore dei tifosi giallorossi che non si è mai rimarginata. Quella rete non convalidata cambiò la storia del campionato 80/81, vinto poi dalla Juve con due punti di vantaggio sulla Roma, ed esasperò la polemica tra Viola e Boniperti Campionato 1980-81, la Roma di Dino Viola e Nils Liedholm decolla ed entra in collisione con la Juve pluriscudettata di Boniperti e Trapattoni. Scintille, battute e righelli. Alla vigilia la Juve è capolista, con un punto di vantaggio sulla Roma inseguitrice. Il 10 maggio 1981 si gioca al vecchio Comunale, record d'incasso a quota 480 milioni di lire. La sfida è aspra, nervosa, frenetica. L'arbitro Bergamo, però, dimostra polso (il giorno successivo la Gazzetta gli attribuirà 7 in pagella). Bergamo sembra non soffrire di sudditanza psicologica, tanto che al 17' della ripresa espelle Furino, al solito eccessivo nelle entrate. Una decina di minuti più tardi l'appuntamento con la storia: Conti-Pruzzo-Turone, gol della Roma, ribaltone in vetta. Bergamo convalida e orienta il braccio destro verso il centrocampo, ma il suo sguardo incoccia nella bandierina del guardalinee Sancini... La Juve vincerà il campionato, Roma seconda due punti indietro. «Per me la rete del romanista era ok, ma non potevo contraddire il mio collaboratore Sancini». «Fu l'incontro più difficile della mia carriera di arbitro, ma non per via del gol annullato a Turone. Quel faccia a faccia tra Juve e Roma fu durissimo, una tensione enorme, i giocatori si producevano in contrasti feroci. Al fischio d'inizio Furino si avventò su Falcao e lo atterrò in modo vistoso, inevitabile il cartellino giallo. Qualcosa del genere aveva combinato Tardelli su Rivera in Juve-Milan 1977-78. Furino si ripetè nella ripresa, con un brutto tackle sulle gambe di Maggiora. Altro giallo e conseguente espulsione. Furino non disse parola e uscì». Il gol annullato a Turone? «Lancio di Conti, colpo di testa a proseguire di Pruzzo e volo vincente di Turone. Convalidai la rete, per me era regolare, ma mi accorsi che Sancini, mio fidato guardalinee - all'epoca le terne erano fisse, l'altro collaboratore si chiamava Ravaglioli - aveva la bandierina alzata. Innestai la retromarcia e annullai, non potevo fare altro». Seguì le varie moviole? «Sì e mi vennero dei dubbi, però sui fuorigioco il guardalinee è l'unico in grado di giudicare al meglio perché è in linea con la palla. Sancini era bravo, mi spiace che abbia sofferto a causa di questa storia. Insulti, minacce».L'ottima Roma 1980/81 si consolò con la Coppa ItaliaCosa accadde a fine partita? «Ricevemmo i complimenti di Ferrari Aggradi, designatore del tempo, e dei presidenti di Juve e Roma. Sì, anche Dino Viola venne a ringraziarci per l'operato. Viola era un gentiluomo, dichiarò di aver perso lo scudetto per una questione di centimetri e la stagione successiva, al raduno degli arbitri a Coverciano, Boniperti gli donò un metro. Quello era un altro calcio, più umano e signorile, con screzi garbati». Il guardalinee Sancini, oggi negoziante a Bologna: «Ho visto e rivisto quell'azione in tv e non ho dubbi, fuorigioco certo, il gol era proprio da annullare» Giuliano Sancini, proprietario di un negozio per articoli da regalo nel centro di Bologna («Il più antico della città, venne fondato nel 1694»), è il guardalinee che il 10 maggio 1981 cancellò il gol di Turone. Sancini, riviste le immagini, ha cambiato idea? «No, presi la decisione giusta. Ero in linea e in mente ho un flash nitido: Turone oltre la linea della palla al momento dell'assist di testa di Pruzzo. Quel giorno la Rai lavorò con poche telecamere a causa di uno sciopero, ma De Laurentiis, giornalista del secondo canale, disponeva di una moviola speciale, il Telebeam, e provò con precisione l'irregolarità: secondo la macchina Turone era in fuorigioco per 10 centimetri . A me, però, spiace che Bergamo non sia convinto, tra noi c'era sintonia e lui è stato il direttore di gara più bravo della sua generazione. Bergamo era migliore di Agnolin». Cosa le dissero i giocatori in campo e i dirigenti negli spogliatoi? «Né io né Bergamo subimmo proteste o rimostranze. A fine partita i presidenti Viola e Boniperti si complimentarono con noi. Viola era un signore e mi congedò con una battuta in simpatia, senza cattiveria: "Certo che io ho perso lo scudetto per colpa della sua bandierina...". Se certe cose le vivessi oggi, dovrei mettere l'elmetto».E' vero che un anno più tardi lei si dimise perché stressato dalle continue minacce dei romanisti? «Falso, lasciai il calcio per dedicarmi in pieno all' hockey su prato. Il pallone mi stava stretto, nel calcio mi ero fermato alla serie B, in A ero guardalinee e basta. Se fossi stato un tipo impressionabile avrei abbandonato nel '78, quando venni massacrato di botte a Cosenza. Partita Cosenza-Nocerina, campionato di serie C: fischiai un netto rigore per la Nocerina e la folla inferocita invase il campo. Rifugiarsi negli spogliatoi non fu sufficiente, decine di persone entrarono nello stanzino e bastonarono sia me sia i guarda linee». Ramon Turone non ha dimenticato, non può dimenticare: «Il film di quella rete l'ho ben impresso nella memoria: cross di Bruno Conti, sponda aerea di Pruzzo e mio gol di testa in volo d'angelo. Un carpiato con avvitamento che avrebbe voluto dire scudetto. Sono un po' stanco di parlarne, la gente me lo chiede continuamente, è diventata quasi un'ossessione. Vent'anni dopo mi fa un po' rabbia essere ricordato solo per quello. Sono stato un buon calciatore, ho giocato nel Genoa, nel Milan e nella Roma". E, invece, il guardalinee rimase immobile con la bandierina alzata. «Un abbaglio clamoroso, la dinamica dell'azione era infatti semplice e sul fatto che io arrivassi da dietro non potevano esserci dubbi. Dirò di più: Bergamo era in una posizione ottimale per decidere da solo. Però non se la sentì di prendersi la responsabilità di sconfessare il suo collaboratore». Bergamo, dunque, come Ponzio Pilato, secondo lei qualcuno voleva che lo scudetto finisse alla Juve? «A quei tempi andava di moda parlare di stanza dei bottoni, ma non credo che la Juventus andasse a cercare aiuti. Non dimentichiamo che quella era una grande squadra: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli. Ovvero, l'ossatura della nazionale che l'anno successivo sarebbe diventata campione del mondo. E poi Bettega, Causio, Brady. Ma noi non eravamo da meno: Bruno Conti, Pruzzo, Ancelotti, Di Bartolomei e soprattutto Falcao. Un fenomeno, un giocatore completo». La moviola dimostrò che il gol era regolare e divamparono le polemiche. «Ma era un altro calcio, niente a che vedere con gli eccessi attuali. Dino Viola, che era un signore dotato di un grande senso dell'umorismo, ogni volta che vedeva Boniperti non perdeva occasione per ricordargli che gli aveva portato via lo scudetto per una questione di centimetri. Ma sempre con simpatia e soprattutto molta classe». E naturalmente Liedholm, il barone, la prese con la solita flemma scandinava. «A caldo tutta la squadra assorbì bene quell'ingiustizia. Mancavano ancora due giornate alla fine del campionato ed eravamo fiduciosi di riuscire comunque a recuperare il punto che ci distanziava dalla Juventus. La domenica successiva, infatti, noi avremmo ospitato all'Olimpico la Pistoiese già retrocessa, mentre la Juve rischiava contro il Napoli, che era terzo ad un punto da noi e a due dai bianconeri». Ma la solidarietà del centrosud non scattò: la Juve vinse e chiuse definitivamente il campionato. «A decidere la partita fu un'autorete, nessuno si sarebbe aspettato un Napoli così arrendevole. Era destino che la Juve dovesse essere la mia bestia nera, già una volta mi aveva portato via uno scudetto che credevo di aver già vinto. Ma con il Milan andammo a prendere 5 gol a Verona e proprio all'ultima di campionato la Juve ci superò»
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