Quando, al minuto 32 della ripresa, Carlos Lugo prende la palla e la posiziona nel punto esatto in cui il pessimo arbitro messicano ha da poco fischiato un calcio di punizione a favore di una sconosciuta squadra peruviana, il Cienciano del Cusco, lo stadio Monumental di Arequipa è una bolgia infernale. I 250 tifosi del River Plate – team tra i più gloriosi e vincenti di Buenos Aires - incrociano le dita e maledicono l’infortunio di Marcelo Salas, l’ex laziale e juventino che si è “rotto” dopo pochi minuti. I 250 hinchas argentini osservano con terrore Carlos Lugo prendere la sua rincorsa potente. Quelli del River hanno l’occhio terrorizzato, tipico di chi sa di sta vivendo un momento storico. Negativo, certo, ma storico, perché la finale della Copa Sudamericana 2003 (l'equivalente sudamericano della Europa League europea, anche se vi partecipano pure i campioni di ogni paese) potrebbe essere il primo trofeo all times vinto da una squadra del Perù, nazione calcisticamente dietro anni luce rispetto a Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, eccetera. Carlos Lugo dello Cienciano del Cusco impatta la sfera, i 45mila paganti del Monumental di Arequipa sono sull’orlo di una crisi di nervi, hanno smesso di respirare, pronti a esplodere la loro felicità di lì a sette decimi di secondo, quando la palla gonfia la rete difesa dall’arquero, il portiere del River Franco Costanzo, le cui origini italiche sono inconfutabili, così come l’inutilità del suo tuffo. Spettacolare ma fine a se stesso. Ciò che segue è difficilmente comprensibile per chi ha occhi e mentalità europea: l’intero Perù, si trasforma in un immenso salone da ballo e, per tutta la notte, la gente di Arequipa, della regione di Cuzco, di Lima e di ogni paese e città scende in strada, a brindare con enormi bottiglie di birra o, come dicono qui, di cerveza. Un episodio tra i tantissimi che riportavano le prime pagine dei giornali locali, ci aiuta a capire la follia collettiva di una nazione: a Iquitos una coppia di fidanzati che doveva sposarsi proprio il giorno del trionfo dello Cienciano, ha dovuto attendere per sei ore lo scambio delle fedi. Il motivo? Tutti stavano vedendo la partita, incluso il prete della chiesa evangelica che doveva celebrare il matrimonio! Il club è stato fondato oltre cent'anni fa, da un inglese, William Newell, a cui venne affidato il compito di creare una squadra del «Collegio nazionale di scienza» (ciencia, in spagnolo, e da qui Cienciano), il club non aveva mai vinto niente. Massimo momento di gloria, gli ottavi nella Libertadores 2001. Dal nulla, al trionfo, raggiunto con un gruppo di giocatori vecchi, messi da parte da altre società, riciclati. Si va da un portiere trentasettenne, l'argentino Ibañez, che stava già pensando a ritirarsi, a un goleador, Lugo, retrocesso con l'ultimo club peruviano in cui era finito, nella peripezia che dal nativo Paraguay lo aveva portato in mezzo Sudamerica. E poi una frotta di «ex» dell'Universitario, scartati per scarsi mezzi tecnici o raggiunti limiti di età. A questo gruppo si aggiungeva il locale Cesar Cahuantico, fino all'anno scorso poco più che un dilettante, ora titolare dei campioni. Un'armata tutt' altro che invincibile, e su cui Ternero ha dovuto lavorare parecchio: «All'inizio se tre giocatori parlavano fra loro era il massimo dello spirito di gruppo». L'ex c.t. peruviano ha così iniziato a lavorare sul lato psicologico, con citazioni bibliche e altre da film americani: «Sì, se puede» è diventato il motto della squadra. Che è diventata gruppo. Lì sono iniziate le vittorie, lì è iniziata la cavalcata, dipinta in patria come una «riconquista inca». Dalla dimenticata Cuzco, sulla Cordigliera andina, località storica e turistica seconda solo al vicino Machu Picchu, gli eredi della popolazione precolombiana hanno conquistato nell'ordine Lima (dove gli spagnoli spostarono la capitale), poi Cile, Colombia (Nacional Medellin), Brasile (Santos) e Argentina. Per l'ultima tappa si sono tolti lo sfizio di fare fuori il River Plate (3-3 in trasferta e 1-0 in casa), di farlo finendo in 9 nella finale di ritorno, e di rompere le uova nel paniere della potente emittente televisiva Fox, che sperava per la Recopa in una sfida Boca-River. Per realizzare il derby, dicono in Perù, era stato mandato appositamente un arbitro (quello delle due espulsioni) ed era stata spostata la sede della finale di ritorno ad Arequipa, ufficialmente per inadeguatezza dello stadio, forse per togliere un po' del vantaggio dato dall'altura. Sull'altro vantaggio che si sono presi i peruviani, non c'è stato nulla da fare. Presidente ed esperti si sono detti d'accordo nell'attribuire la grande vittoria a due fattori: uno stipendio che arrivava puntuale (cosa non scontata in un paese in cui il campionato è stato sospeso e soppresso per uno sciopero dei giocatori non pagati) e le proprietà rigeneranti della maca. Trattasi di una pianta che cresce sulle Ande, a quasi 4mila metri d'altezza, e le cui radici hanno proprietà già apprezzate dagli Inca, gli antichi abitanti del Perù. Dimenticata dal mondo, e preservata solo nella zona di Cuzco, la pianta, oltre a essere definita il «Viagra peruviano», dà provati effetti rigeneranti anche per i giocatori: una sorte di integratore naturale. Fa parte del segreto del Cienciano, resterà nella leggenda.
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