Il Grande Parma di Tanzi

Dalla provincia alle vette del calcio europeo: il Parma di Callisto Tanzi e della Parmalat, storia di una favola sportiva ed economica dal finale drammaticamente all’italiana. Su e giù, come su una giostra, alla velocità della luce. In queste poche parole scarne e lapidarie, ma terribilmente concrete ed indicative, l’epopea del grande Parma, la squadra frutto della laboriosa provincia italiana traghettata dal nulla cosmico delle serie minori ai grandi palcoscenici europei.“Frutto della laboriosa provincia italiana”: non è una forzatura per indicare una piccola cittadina ed una sua squadra di rappresentanza salite alla ribalta come tante altre volte è accaduto nella variopinta storia del nostro calcio. È invece la didascalia più calzante sotto le immagini di questa storia, della storia del grande Parma dell’era Tanzi. Una storia fatta di “sponsorizzazioni perfette”, di “errori virtuosi”, di scudetti sognati e mai arrivati e di un crack che fa la storia del calcio a Parma, ma anche (e tristemente…) dell’industria italiana anni 2000. Comunque sia, i prodomi dell'esplosione calcistica parmense risalgono alla fine del campionato 1986/87.  Proprio mentre la Napoli del Napoli di Maradona è appena venuta fuori dalla sbornia del double scudetto-Coppa Italia, una società di Serie B firma il classico contratto che ti cambia la vita. In meglio. Il Parma Calcio, gestito dal buon senso tutto emiliano dell’indimenticato Ernesto Ceresini, entra, come società sponsorizzata, nel feudo del marchio industriale più importante della provincia, nel feudo della Parmalat. È solo il primo passo, il destino della società è già segnato. Ed è un destino francamente insperato quello che attende la società biancocrociata, che per anni ed anni si è dibattuta in una sconsolante quanto a volte (minimamente…) esaltante altalena tra serie B, C e D, e che solo pochi mesi addietro, grazie alle rivoluzioni copernican-calcistiche del suo nuovo fattucchiere della panchina, tale Arrigo Sacchi (tra l’altro già vestitosi di rosso e nero), era uscita da un anonimato freddo quanto il silenzio di un campetto di periferia. Un mediocre andirivieni che non può bastare al nuovo sponsor, esempio della raggiante industria italiana del dopoguerra, fulgido modello di quella imprenditoria che dal nulla porta a costruire imperi grandi come quelli di Alessandro Magno. La squadra, in pochi mesi cambia infatti volto: finita precocemente l’era Zeman, immediata continuazione di quella Sacchi, e terminato l’interregno di Giampiero Vitali, arriva finalmente la stagione di Dio 1989/90. In panchina siede un nuovo enfant prodige della panchina, un allenatore che quasi quasi in un solo anno portava la Reggina dalle secche della serie C1 allo splendore di una Serie A persa solo all’ultimo rigore dello spareggio. Il nuovo mister si chiama Nevio Scala: crede nel progetto, lascia l’amata squadra calabrese e, fortuna sua, ci vede giusto. Il 27 giugno 1986: Ernesto Ceresini e Calisto Tanzi firmano l'accordo con il quale la Parmalat sponsorizza il Parma Calcio per tre anni. La squadra fila che è un piacere: il Parma, ancora guidato dal buon Ceresini, assapora finalmente l’ebbrezza dell’alta quota, fin quando la notizia della morte dell’amato presidente non riporta i ragazzi biancocrociati sulla Ricordot che quand a t’ vè su ‘na pianta, con pu a t’ ve in alta, con pu i broch i diventon sutil e con pu a te ‘t zlontan da tera…(Ricordati che quando sali su un albero, più vai su, più i rami diventano sottili e tu ti allontani da terra) Il drammatico evento accelera la macchina-Parmalat, che in un nonnulla rende fatto il passaggio di consegne dalla famiglia Ceresini: la promozione arriva il giorno 27/05/1990, con una sceneggiatura che fa impallidire Hollywood intera. La partita decisiva è il sentitissimo derby con la Reggiana ed il 2-0 a firma di Osio e Melli è un epilogo che suggella una stagione indimenticabile per la squadra e per l’intera città, che può così finalmente confrontarsi con il grande calcio guardandolo negli occhi con la sfrontatezza di chi ha le spalle coperte da un progetto: il progetto dei Tanzi e del Parma. Domenico Barili, grande stratega di marketing della società della famiglia Tanzi, asseriva convinto: “Nel calcio il vero sponsor della squadra è il suo presidente o proprietario. Il giorno in cui il presidente della squadra sarà anche il presidente della società che riproduce il suo marchio sulle maglie, avremo il primo esempio di sponsorizzazione perfetta”. Il Parma che si presenta per la prima volta ai nastri di partenza del massimo campionato di calcio è, appunto, il primo esempio della “sponsorizzazione perfetta”. E se il termine “perfetta” dovesse apparirvi esagerato data la sua accezione di irraggiungibilità, allora è meglio non passare dalle parti di Parma durante la stagione 1990/91.La squadra, schierata da Nevio Scala con l’oramai imperante 5-3-2 si arricchisce di eccellenti giocatori (il portiere brasiliano Taffarel, il libero belga Grun, e l’ottimo svedese Brolin), che, innestati su un telaio già di buonissimo livello (Apolloni e Minotti dietro, Osio e Zoratto al centro e la futura bandiera Melli di punta), consentono ai ducali di strappare applausi, di riscuotere simpatie e, soprattutto, di cogliere un quinto posto finale che vuol dire Coppa UEFA. E siamo solo all’inizio. La squadra, gestita dal nuovo presidente Giorgio Pedraneschi, uomo sportivo targato Parmalat (ovviamente...), si puntella ancor di più nell’estate 1991 con l’arrivo di uomini destinati a fare la storia (il giovane terzino Benarrivo ed Alberto Di Chiara) e di altri poco appariscenti ma di sostanza come il portiere Ballotta e l’attaccante Massimo Agostini, “Condor” da sempre lanciato sulle praterie del gol. La stagione si apre con la sconfitta al primo turno di Coppa UEFA con il CSKA Sofia e si conclude con la perdita di una posizione sulla graduatoria finale del campionato. Le due mezze delusioni vengono però ampiamente compensate dal primo grande successo delle maglie gialloblù, che nella stagione 1992/93 potranno fregiarsi di una coccarda tricolore che sa di storia. Il Parma, infatti, alza nel cielo del “Tardini” la sua prima Coppa Italia, dopo un torneo perfetto (eliminate, una dopo l’altra, Palermo, Fiorentina, Genoa e Sampdoria) ed una doppia finale epica, in cui la Juventus del Trap-bis, dopo aver prevalso al Delle Alpi grazie ad un rigore di Roby Baggio, deve inchinarsi ai gialloblù, che trionfano davanti al loro pubblico grazie alle reti di Sandro Melli e Marco Osio, gli stessi goleador del derby dei formaggi che appena due anni prima era valso la promozione in A. Un plot perfetto, una scalata programmata nei minimi dettagli che conosce il suo primo grande trofeo: il primo di una lunga, lunghissima serie. Sempre Barili “Quasi tutti i telecronisti stranieri chiamavano la squadra Parmalat, non Parma. Questo è un errore virtuoso che piace molto all’azienda”. In una frase la descrizione di quello che per il Parma è il punto di non ritorno. La Coppa Italia del 1992 segna un cambiamento epocale nella storia della squadra gialloblù, la trasformazione definitiva da realtà di provincia in squadra vincente di dimensione internazionale. Gli arrivi di Tino Asprilla e Fausto Pizzi regalano infatti alla squadra imprevedibilità e fantasia in abbondanza in avanti, in una struttura dai meccanismi ormai mandati a memoria e perfettamente imperniati sull’asse Grun-Minotti-Zoratto. L’entusiasmante campagna europea del Parma 1992/93 è figlia di queste felici intuizioni: Ujpest, Boavista, Sparta Praga e Atletico Madrid si rivelano vittime sacrificali prima dell’atto finale, nel tempio di Wembley, datato 12 maggio. Sono passati meno di tre anni dal derby che per il Parma volle dire Serie A, ed i ragazzi gialloblù già alzano al cielo il loro primo, meritatissimo trofeo internazionale: l’Anversa fa quel che può, pareggia l’iniziale vantaggio di capitan Minotti, prima di cadere inerme sotto i colpi di Sandro Melli e Stefano Cuoghi,  che regalano a Parma ed al Parma la prima storica Coppa delle Coppe. È un trionfo, il trionfo della famiglia Tanzi e del suo progetto, il trionfo della programmazione e degli investimenti onerosi ma mirati ed oculati, il trionfo di un gruppo dirigenziale e di squadra mai così uniti (storico l’affiatamento scrivania-campo della magica triade Pedraneschi-Pastorello-Scala) e, sebbene vincenti, così tanto simpatici a tutti gli sportivi italiani. La Coppa delle Coppe, unitamente al terzo posto in campionato, apre un biennio magico: con l’approdo, diluito in due estati, del primo vero grande fuoriclasse (Gianfranco Zola, proveniente dal Napoli) e di gente dura come Crippa, Bucci, Sensini, Fernando Couto e Dino Baggio, il Parma mira e riesce ad entrare a pieno titolo nel ristretto novero delle grandi del calcio italiano.Le grandi imprese si susseguono a ritmo vertiginoso, con andatura continua e apparentemente irrefrenabile. Stagione 1993/94: quinto posto in campionato, Supercoppa Europea strappata al Milan di Capello e cavalcata della conferma in Coppa Coppe che si ferma solo alla finale con l’Arsenal di Londra, che si impone per 1-0. 12 maggio 1993: Stagione 1994/95: secondo posto in campionato, secondo posto in Coppa Italia e vittoria nella Coppa UEFA, in un meraviglioso duello su tre fronti con la Juventus di Marcello Lippi, che si impone nelle due competizioni di casa ma che lascia campo e vittoria ai gialloblù nella kermesse europea. Il Parma alza infatti al cielo il suo terzo trofeo europeo,  dopo una doppia finale nel segno dell’ex Dino Baggio, giustiziere dei bianconeri con il gol dell’1-0 dell’andata del ”Tardini” e con il decisivo gol del pareggio nel ritorno di San Siro, insolito teatro del match. Applausi a scena aperta, la piccola realtà di provincia è nel gotha del calcio europeo. La sensazionale stagione appena giunta al termine consiglia ai grandi capi di osare: al Parma, per il salto di qualità in chiave scudetto, manca un leader carismatico, un fuoriclasse in grado di cambiare in un lampo il volto di una partita. Detto fatto, il patron e la sua azienda non badano a spese e dal Barcellona arriva in Italia addirittura il Pallone d’Oro in carica, il bulgaro Hristo Stoichkov, capocannoniere dell’ultimo Mondiale, sinistro vellutato e carattere al pepe. Insieme a lui, un difensore destinato a fare la storia di Parma e dell’Italia intera, Fabio Cannavaro. Le aspettative vengono però clamorosamente disattese: Stoichkov si rivela incostante e finisce per pestare i piedi all’altro astro lucente Zola e la stagione, aperta tra squilli di fanfare, si chiude senza successi, ed è la prima in assoluto da quando i ducali bazzicano la serie A. Calisto Tanzi decide per il ribaltone: fuori il buon Pedraneschi, fuori mister Scala, dentro due junior per poltrona e panchina. Stefano Tanzi è il nuovo presidente, mentre l’uomo di casa Carlo Ancelotti è il nuovo allenatore. La squadra viene potenziata in maniera esponenziale: dentro un tris di califfi come Thuram, Chiesa e Crespo, che si aggiungono ai già presenti Cannavaro, Crippa e Benarrivo e che si completano con il nuovo grande baby fenomeno dei pali, il giovanissimo quanto dotato Gigi Buffon. Il Parma arriva secondo in campionato, a soli due punti dalla Juventus di Lippi, conquistando l’approdo in Champions League. L’anno dopo, e siamo al 1997/98, la musica non cambia in sede di mercato ma si rivela tutt’altro che melodiosa in campo: arrivano, tutti in un colpo, Zè Maria, Blomqvist, Stanic e Stefano Fiore, ma la squadra in Europa va a casa nella fase a gironi, mentre in campionato non va oltre un insipido sesto posto. A pagare per tutti è ovviamente Ancelotti, reo tra l’altro di aver rifiutato l’acquisto di Roberto Baggio, caldeggiato ed ormai concluso dalla famiglia Tanzi, e di non aver saputo dare riscontro alle aspettative tecniche della proprietà. “Dal Parma non si può pretendere soltanto la vittoria di uno scudetto. Bisogna esigere anche il bel gioco”. Parole e musica di Stefano Tanzi, giovane e rampante presidente, entrato a pieno titolo dopo queste dichiarazioni nel club “I sogni son desideri…”. Eppure, il mercato e la stagione 1998/99 sembrano dire altro, sembrano poter dare il la ad un nuovo grande ciclo: in panchina viene a sedere un giovane rampante dalla lingua lunga e dal calcio sbarazzino, tale Alberto Malesani, conosciuto per le sue esultanze ai limiti dell’umano; in campo ci entrano invece nuovi grandi campioni, primi tra tutti l’argentino Veron, arrivato dalla Sampdoria insieme al francese Boghossian, e l’ex laziale Diego Fuser. La squadra gioca bene, tiene testa a tutte le avversarie in campionato, sembra poter lottare finalmente per il titolo, per poi ritirarsi e preferire altre ribalte: in campionato è quarto posto, ma arrivano in sequenza, nel magico Maggio del 1999, le vittorie in Coppa UEFA (3-0 al Marsiglia a Mosca, a segno Crespo, Chiesa e Vanoli) e in Coppa Italia (doppia finale con la Fiorentina, 1-1 al “Tardini”, a segno Crespo e 2-2 in Toscana, con gol ancora di Crespo e di Vanoli). Il 5 maggio 1999: pareggiando 2-2 con la Fiorentina, il Parma vince la Coppa Italia. Il Parma entra di diritto tra le grandi di Italia ed Europa: la conferma è data anche dal completamento del tris, avvenuto però all’alba della nuova stagione con la vittoria della prima Supercoppa Italiana (2-1 al Milan di Zaccheroni). In pochi sentono nell’aria però che questi, sebbene forti e potenti, sono e resteranno gli ultimi vagiti. L’apogeo è stato toccato, ma nessuno lo sa. A tutti, società, squadra, città, manca la grande conquista, che però tarda e tarderà ad arrivare: lo scudetto, per Parma ed il Parma, resterà per sempre una chimera. Lo diventa a maggior ragione a partire dalla stagione 1999/2000, che dopo l’esaltante prologo sopra citato, riserva una serie di delusioni infinite: fuori dalla Champions  ai preliminari, fuori dalla lotta scudetto fin da subito, fuori dall’Uefa, fuori dalla Coppa Italia e sconfitta finale con l’Inter nello spareggio per la Champions dell’anno successivo. E tutto ciò, nonostante gli acquisti di Sartor, Ortega e Di Vaio, che però fanno da ben poco edificante contrappeso alle cessioni illustri di Veron e Chiesa. Il ridimensionamento è cominciato, e nella stagione 2000/2001 la campagna acquisti sforna un nuovo panettone che sa poco di dolce e molto di bruciato:  ci vogliono infatti tre allenatori per far fruttare gli acquisti di Sergio Conceicao, Almeyda Lamouchi, Micoud, Milosevic e Junior, controbilanciate però dalla cessione di Crespo alla Lazio.Amoroso, Micoud e Lamouchi: tre elementi del nuovo Parma di inizio millennio Malesani viene fatto fuori dopo un avvio shock, per risalire la china viene addirittura chiamato mastro Sacchi, ma lo stress tira brutti scherzi e quindi dentro Renzaccio Ulivieri, che a sorpresa, porta la squadra al quarto posto che vale la Champions ed alla finale di Coppa Italia persa con la Fiorentina di Roberto Mancini. Fuoco di paglia. Il Parma, giocattolo meraviglioso della famiglia Tanzi, prende a sfaldarsi: il 2001/2002 è l’annus horribilis: la campagna acquisti in fondo non è malaccio, avendo partorito un buon portiere (Frey) ed un centrocampista di alto livello (Nakata), se non fosse che ha contemporaneamente portato alla cessione alla Juve di Buffon e Thuram. La squadra sprofonda fino al decimo posto in classifica, frutto di un campionato disgraziato che vive di nuovo nell’incubo dell’andirivieni della panchina, che vede avvicendarsi Ulivieri, lo sciagurato argentino Passarella (cinque sconfitte su cinque per l’ex “Caudillo”) e l’uomo del vivaio Gedeone Carmignani, che salva la squadra e le permette di vincere l’ultimo trofeo, un’insperata Coppa Italia giunta ancora dopo la doppia finale con la Juventus di Marcello Lippi (1-2 a Torino, rete di Nakata e 1-0 al “Tardini” con rete decisiva di Junior). È davvero l’ultimo squillo: la squadra, oramai smembrata e priva di ambizioni, viene affidata a Cesare Prandelli per un “progetto giovani” che sforna un numero elevatissimo di futuri campioni (Mutu, Adriano, Bonera, Ferrari, Frey), ma che porterà alla chiusura della grande epoca d’oro. I passivi della società, che ha costi spaventosamente superiori alle entrate, sono solo una minima parte del vortice debitorio della Parmalat: il crac è terribilmente vicino, ed il Parma rischia di scomparire. Le dimissioni di Stefano Tanzi, del gennaio 2004, chiudono un’epoca.  Le tristi immagini delle lacrime di dolore del giovane patron al momento dell’addio suonano quasi a beffa per tutti i piccoli investitori completamente rovinati dalle magagne economiche dei vertici di Collecchio e per tutti i tifosi gialloblù, che in pochi anni hanno imparato a vivere ed a credere nelle favole e che si ritrovano, di colpo, protagonisti di un incubo non solo sportivo. A distanza di anni, chi doveva essere punito viaggia ancora sui lentissimi binari della macchina giudiziaria italiana, mentre il Parma, il nuovo Parma di Ghirardi e Guidolin, quasi fa sognare come ai vecchi tempi. Tempi di vittorie, di lacrime di gioia, di dolore, di coccodrillo e spese sul latte versato. Latte prima buono e poi acido, prima fresco e poi scaduto ma mai dimenticato nel frigo, come i momenti dorati di un’epopea irripetibile…

Nessun commento:

Posta un commento