Arriva il calcio in Sudamerica

In piena espansione coloniale, il calcio era un prodotto di esportazione come i tessuti di Manchester, le ferrovie, i prestiti bancari e la dottrina del libero commercio, che un giorno il gioco del pallone avrebbe fatto propria. Così furono gli inglesi a giocare le prime partite in Sudamerica; i cittadini di Sua Maestà, diplomatici, funzionari delle imprese del gas e delle ferrovie, diedero vita alle esordienti formazioni locali. La prima gara internazionale giocata in Uruguay nel 1889 mise di fronte gli inglesi di Montevideo e quelli di Buenos Aires, sotto un gigantesco ritratto della Regina Vittoria. Un altro ritratto vittoriano, nel 1895, fece da sfondo alla prima partita del calcio brasiliano, giocata tra i sudditi britannici della Sào Paulo Railway e quelli della Gas Company. Non ci volle molto perché il gioco del pallone contagiasse anche gli indigeni, in modo particolare i borghesi, che si dedicarono al calcio come oggi alcuni si dedicano al golf e la prima mossa fu quella di importare l'attrezzatura, nonché i manuali di gioco, direttamente da Londra e quindi l'inglese era la lingua ufficiale delle partite. Nel 1893 nasce l'Argentine Football Association che non permetteva si parlasse lo spagnolo durante le riunioni, mentre l'Uruguay Association  Football League vede i natali nel 1900 e in onore alla tradizione inglese proibisce le partite alla domenica. La Federazione brasiliana è l'ultima a nascere (1914), anche se questo non le ha poi impedito di divenire, fra le tre, la prima per vittorie e importanza. Un po' alla volta, quello che era un divertimento per i ragazzi bene della borghesia locale inizia a diffondersi lungo le strade che costeggiano il Rio de la Plata. Così, come il tango anche il calcio cresce nelle periferie e sono proprio gli immigrati, i diseredati locali e i meticci a plasmarlo in maniera inconfondibile e indelebile. Il pallone diventa il dizionario di un esperanto, di un linguaggio universale che unisce tutti i popoli della terra, soprattutto i poveri che per giocare hanno bisogno solo della voglia e di uno straccio di pelota. Negli stadi di Buenos Aires e Montevideo stava nascendo uno stile, il ballo si mescola al gioco e viceversa, la palla non si calcia ma si possiede e il palleggio diventa un'arte sopraffina, tipica del futbol sudamericano. Nello stesso momento prendeva forma il calcio brasiliano, con le sue finte di corpo che provenivano dalla "capoeira", la danza guerriera degli schiavi negri e dei briganti che vivevano nei sobborghi delle grandi città. La massificazione del gioco del pallone, il suo incontenibile espandersi lo qualificava come passatempo raffinato. Ogni epoca ha avuto il suo fuoriclasse sudamericano, soprattutto brasiliano. Molti di questi sono nati poveri e hanno trovato nel pallone un simbolo di riscatto economico e sociale che li ha liberati dai bisogni e lanciati nell'Olimpo degli dei mortali. Alcuni nella povertà sono tornati e se ne sono andati soli, quasi dimenticati. Non a caso, in Sudamerica, il gioco del pallone ha rappresentato il mezzo più efficace e diretto di riscatto per neri, mulatti e creoli che venivano discriminati da quella che in Brasile si chiamava democrazia razziale: una semplice scala gerarchica del mondo, i neri stanno in bas­so, i bianchì in alto. Così il campo ha rappresentato uno spazio libero, veramente democratico nel quale poter lottare alla pari, bianchi e neri, magari nella stessa squadra. Nel 1916, in Argentina, si disputa la prima Coppa America con le quattro squadre allora affiliate alla Confederacion Sudamerica de Futbol (Argentina, Brasile, Cile e Uruguay): resterà, in assoluto, la prima competizione per rappresentative nazionali. Nella gara d'apertura del torneo l'Uruguay vinse per 4-0 contro il Cile: doppiette di Piendibene (che non esultava mai dopo una rete per non offendere gli avversari e sapeva fintare il tiro come nessun altro) e Gradin. Il giorno seguente la delegazione cilena pretese l'annullamento della partita perché l'Uruguay aveva schierato due africani. Si trattava di Isabelino Gradin, e Juan Delgado, entrambi discendenti da schiavi e nati in Uruguay: due autentici fuoriclasse. In quel periodo l'Uruguay era l'unico Paese al mondo ad avere giocatori di colore in Nazionale. Come nero era il brasiliano Artur Friedenreich (figlio di un tedesco e di una lavandaia di colore) al quale, in tutta la sua carriera, sono stati accreditati 1329 gol. Per alcuni è stato lui a creare il modo brasiliano di giocare al calcio e con un suo gol contro l'Uruguay permise al Brasile di ag­giudicarsi la terza edizione della Coppa America nel 1919. Ma la lotta contro la segregazione razziale nel futbol sudamericano era solamente all'inizio. Nel 1921, infatti, il presidente del Brasile Epitacio Pessoa ordinò che nessun giocatore di pelle scura prendesse parte alla Coppa America che si sarebbe giocata in Argentina... per ragioni di patrio prestigio. Vinse l'Uruguay che umiliò i brasiliani con un roboante 6-0. Indubbiamente essere mulatto nel calcio brasiliano non era facile: Friedenreich entrava sempre in ritardo in campo per stirarsi i capelli, mentre il terzino della Fluminense Carlos Alberto si schiariva la faccia con polvere di riso. Loro sono stati i pionieri di un modo di giocare e di essere interpretato nei decenni da giocatori come Domingos da Guia, Leonidas, Zizinho, Garrincha, Didi, Pelé, Junior, Romario, Ronaldo, Rivaldo..... nessuno dei quali di pelle bianca.