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La Nazionale e il giallo del mondiale in Cile

Perchè tutto l'odio cileno si riversò sugli Azzurri? Perchè venne rivoluzionata la formazione dopo il discreto esordio contro la Germania Ovest? Ogni Mondiale andato a male si porta dietro un fardello di polemiche. Quello cileno, per gli azzurri, dovette essere scortato — al rientro negli annali — da una intera colonna di Tir. Tante ne accaddero, in quella sfortunata spedizione, che un solo "giallo" sembra decisamente insufficiente....LTralasciamo allora gli intrighi che presiedettero all'elaborazione delle formazioni azzurre: per sintetizzare i quali basta ricordare che una vibrante "guerra di religione" tattica attraversava in quel periodo la stampa italiana, divisa tra "difensivisti" e "offensivisti". E per l'appunto due esponenti dei primi vennero sentiti, la notte prima del fatidico incontro col Cile, confabulare con Paolo Mazza, esponente di spicco della Commissione azzurra: Sivori andò a svegliare Cesare Maldini e Altafini per annunciare loro che di sotto stavano decidendo la loro esclusione. I tre, quatti quatti, percorsero il corridoio del primo piano della scuola Capitano Alvares, sede del ritiro azzurro, e si arrestarono davanti alla rampa di scale sovrastante l'atrio. "Indiziati", i giornalisti Gianni Brera e Rizieri Grandi, di cui al trio sembrò di riconoscere le voci. All'indomani, tutti e tre in effetti vennero esclusi. E con loro l'Italia. Dal Mondiale. Un Mondiale deciso però non solo dalla formazione priva dei fuoriclasse Rivera e Sivori, ma anche dal clima arroventato della partita e del Paese, culla ideale per le malefatte dei giocatori cileni e dell'arbitro Aston contro di noi. È vero che la bolgia terribile dello stadio di Santiago era stata preparata indirettamente proprio dall'autolesionismo degli italiani? La risposta va cercata nei due articoli, diventati famosi, in cui due inviati italiani avevano parlato del Cile in modo ritenuto offensivo. Il primo uscì a firma di Corrado Pizzinelli, in Cile in quel periodo come inviato della "Nazione": «Denutrizione, prostituzione, analfabetismo, alcoolismo, miseria. Sotto questi aspetti il Cile è terribile e Santiago dolorosamente viva, e tanto viva da perdere persino le sue caratteristiche di città anonima. Interi quartieri della città praticano la prostituzione all'aria aperta... Il Cile, sul piano del sottosviluppo, deve essere messo alla pari di tanti paesi dell'Africa e dell'Asia: ma mentre gli abitanti di quei continenti sono dei non progrediti, questi sono dei regrediti». Parole pesanti, che vennero sommate al "reportage" di un cronista sportivo, il grande Antonio Ghirelli, inviato in Cile qualche settimana prima dell'evento dal "Corriere della Sera" per ambientare il Mondiale: «Il Cile» scrisse «è povero, piccolo, fiero. Ha accettato di organizzare questa edizione della Coppa Rimet come Mussolini accettò di mandare la sua aviazione a bombardare Londra. La capitale dispone di 700 posti letto. Il telefono non funziona. I taxi sono rari come i mariti fedeli. Un cablogramma per l'Europa costa un occhio della testa. Una lettera aerea impiega cinque giorni. Come metti piede a Santiago, ti rendi conto che l'isola di Robinson Crusoe galleggia tuttora a pochi passi da questa straordinaria striscia di terra lunga quattromila chilometri». Dei due reportage si accorse un pittore cileno residente in Italia, che ne parlò dai microfoni di una delle tante radio private di Santiago, in gran parte in mano alla colonia tedesca, che non tardarono a far partire una martellante campagna anti italiana. Le feste che avevano salutato con grande simpatia gli azzurri al loro arrivo svaporarono di colpo tra i ricordi. Quando gli azzurri scesero in campo per la partita decisiva contro il Cile, dal pubblico partirono sputi e insulti, dagli avversari una caccia all'uomo che l'arbitro Aston, in una delle pagine più vergognose della storia del calcio, tollerò apertamente, per poi colpire le reazioni italiane. Conclusioni. Innanzitutto, la vergogna di quel match fu reale. Lo testimoniano i commenti che le dedicò la stampa estera: «La partita» scrisse in Germania la Bild Zeitung «è stata una tragica farsa. Sembrava che undici giocatori dovessero esser condotti al patibolo davanti ad una folla sadica». «Cile-Italia non ha raggiunto, ma superato» rincarò in Francia "L'Equipe" «i limiti dello scandalo. Tutto è avvenuto sotto lo sguardo di un arbitro, il signor Aston, costantemente ai limiti della debolezza, senza autorità nel fisico come nel comportamento, colpevole ai nostri occhi di essersi lasciato influenzare dalla presenza del pubblico cileno». Seconda considerazione. Non fu solo il clima a buttarci fuori. Leggiamo il commento a caldo scritto all'epoca da Maurizio Barendson, che fu uno dei più equilibrati esponenti della storia del nostro giornalismo sportivo: «Tre sono le cause principali alle quali si deve addebitare il risultato della nostra avventura in Sudamerica. Innanzitutto la eccessiva ipersensibilità dei nostri giocatori e la loro confermata incapacità a reagire ai colpi degli avversari con la freddezza, l'astuzia e la disinvoltura necessarie, specie di fronte alle provocazioni. Nel ring di Santiago, l'accompagnatore Scarambone, Giorgio Ferrini e l'arbitro Ken Aston. In secondo luogo figura il prevenuto e insufficiente arbitraggio che ha ribadito la già eccessiva espulsione di Ferrini con quella inconcepibile di David autore di un fallo di gioco pericoloso ma non certo intenzionale. E ancor più grave la incapacità arbitrale è emersa nel caso della mancata espulsione del "pugilatore " Leonel Sanchez. Altra causa della sconfitta è da ricercarsi nell'eccessivo numero di sostituzioni effettuate nella nostra compagine e nello smembramento della squadra che aveva incontrato la Germania, collaudata almeno psicologicamente e che aveva rotto il ghiaccio. Errato  il criterio della doppia squadra: è stato per lo meno presuntuoso da parte nostra considerare con indifferente tranquillità la possibilità di rendimento di due squadre, quando è risaputo che a stento ne possiamo mettere in campo una». La "doppia squadra" era stata un pallino  di  Paolo  Mazza. Trentaquattro anni dopo, un altro ct, Arrigo Sacchi, sarebbe uscito anzitempo dagli Europei per aver voluto tentare mossa analoga, rivoltando come un guanto la formazione di esordio.

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