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Trapattoni: 10 anni di Juventus

Dopo una soddisfacente carriera di giocatore nel ruolo di mediano ed una breve parentesi sulla panchina del Milan iniziò ad allenare la Juventus nell'anno 1976. Fu quella una coraggiosa decisione dell'allora presidente bianconero Giampiero Boniperti che decise di affidare al giovane Trapattoni una delle panchine più prestigiose del massimo campionato. Tale scelta si rivelò vincente visto che il Trap, riuscì al primo colpo a conquistare il tricolore e a trionfare in Coppa UEFA battendo in finale gli spagnoli dell'Atletico Bilbao: i primi di una lunga serie di trionfi che in dieci anni andranno a gonfiare la bacheca della Juventus. Se n'è appena andato Carlo Parola, timoniere dello scudetto 1974-75. Girano nomi importanti, per la sostituzione: quelli di Bersellini, Di Marzio, Angelillo. Invece, dal cilindro di Giampiero Boniperti spunta Giovanni Trapattoni, che ha appena chiuso col Milan e sembrava a un passo dal ripartire dall'Atalanta, in Serie B. Il Trap non fa rivoluzioni, a Boniperti chiede solo due guerrieri, Boninsegna e Benetti. Il presidente è perplesso, i tifosi sono amareggiati. Trapattoni viene accontentato e i risultati gli danno ragione: la Juventus parte a razzo, duella con il Torino di Radice, campione uscente e grande favorito, fino all'ultima giornata. Finisce con i bianconeri a quota 51 e i granata un punto più giù, ri­sultato storico e irripetibile. Intanto, a primavera è sbocciato un fiore chiamato Antonio Cabrini, e anche grazie al suo apporto la Juventus si fa largo in Coppa Uefa. Le mani sul trofeo, il primo riconoscimento internazionale nella storia della società, l'armata del Trap le mette il 18 maggio 1977, allo stadio San Mames di Bilbao: nel ritorno della finale di Uefa, l'Atletico Bilbao vince 2-1, reti basche di Irureta e Carlos, rete bianconera di Bettega. All'andata era finita 1-0 per la Juve, grazie a un gol di Tardelli. È il trionfo, e in quattro giorni la festa si completa: il 22 maggio, la Juve vince il diciassettesimo scudetto. Cambia poco, la seconda Juve dell'era Trapattoni. In pratica arriva solo Pietro Paolo Virdis, dal Cagliari, dopo un iniziale "no" al trasferimento che coglie di sorpresa Boniperti e lo induce a volare personalmente in Sardegna per convincere il giocatore. Virdis arriva, ma non cambia faccia alla squadra, anche perché una lunga malattia lo tiene lontano dal campo per due terzi della stagione. Tocca a quelli che già ci sono, crescere e convincere. Gaetano Scirea, per esempio, senza clamore sta diventando il miglior libero d'Italia, e a prendere il posto di Facchetti in maglia azzurra. Fatica maggiormente il giovane Cabrini, chiuso da una difesa titolare rocciosa che Trapattoni non si sente, per il momento, di rivoluzionare. Viaggia di conserva, la Juventus, e tanto basta a conquistare il secondo titolo consecutivo dell'era Trapattoni. L'unico avversario che prova a tenere il passo è il Vicenza rivelazione di Paolo Rossi. Il sogno europeo si arresta alle semifinali della Coppa dei Campioni, con l'eliminazione subita ad opera del Bruges. Quella del 78-79 è forse la peggior stagione dell'era del Trap. I bianconeri che hanno partecipato al Mondiale d'Argentina tornano svuotati. Doveva arrivare Paolo Rossi, cresciuto nel vivaio bianconero, ma Farina brucia Boniperti alle buste per una cifra stratosferica e il bomber resta a Vicenza. In campionato s'involano Milan e Perugia, in Coppa Campioni la Juve salta al primo turno, eliminata dai Rangers. Resta solo la Coppa Italia, e Trapattoni la vuole a tutti i costi: missione compiuta a Napoli, contro il Palermo, ma solo ai tempi supplementari. Ripartire da quel terzo posto che, dopo due scudetti, sembra una mezza disfatta. Trapattoni si mette all'opera pescando nella rosa dell'Atalanta: da Bergamo arrivano Tavola, Prandelli, Marocchino e Bodini. Stavolta, però, la Juve parte ancora peggio, e a metà campionato è quint'ultima, con 14 punti in 15 partite. Mentre l'Inter s'invola verso lo scudetto, i bianconeri si risvegliano e con un girone di ritorno ad alto livello (24 punti) raggiungono il secondo posto. In Coppa delle Coppe e in Coppa Italia, la Juve si ferma alle semifina­li: la mettono fuori gioco, rispettivamente, l'Arsenal e il Torino. Liam Brady, irlandese di 24 anni, è la stella dell'Arsenal. Il presidente Boniperti lo sceglie come primo straniero della Juventus dopo la riapertura delle frontiere. Brady ha fisico esile e piedi fatati, Trapattoni gli mette sulle spalle il numero 10 e lui prende per mano la squadra e la riporta in alto: parte piano, ma cammin facendo trova il ritmo e infila la strada giusta, quella che porta verso il diciannovesimo scudetto. Brady è anche il primo marcatore di una sorta di "cooperativa del gol": segna otto reti, Cabrini e Tardelli ne fanno sette, Bettega, Fanna e Marocchino cinque, Scirea quattro. La Juve gira a quota 18, poi azzecca un girone di ritorno esaltante, che vale 26 punti, aggancia Roma e Napoli e le supera. Trapattoni si esalta, parla di nuovo ciclo bianconero. In Europa va male, al secondo turno di Uefa la Juventus viene eliminata dal Widzew Lodz, guidato dal giovane talento polacco Boniek. Lo scudetto numero venti, quello della seconda stella, arriva a un quarto d'ora dalla fine dell'ultima giornata di campionato, dopo un lungo testa a testa con la Fiorentina. A Catanzaro il tricolore è nelle mani di un campione che sa già che il suo destino sarà lontano da Torino. Brady ha appena saputo che gli stranieri della Juve, nella prossima stagione, saranno Platini e Boniek. Eppure, minuto settantacinque di Catanzaro-Juventus, batte con imperturbabile freddezza il rigore decisivo che consegna all'armata del Trap vittoria e scudetto. La sua corsa, la Juventus l'ha fatta senza Bettega, fuori dalla settima giornata per un grave irrfortunio al legamento collaterale del ginocchio sinistro, rimediato in uno scontro con Munaron nell'andata degli ottavi di Coppa Campioni contro l'Anderlecht, sfida sfortunata anche perché i belgi buttano la Signora fuori dall'Europa. Paolo Rossi rientra, dopo due anni di inattività, solo nelle ultime due partite. Sorprende e incanta il giovanissimo Giuseppe "Nanù" Galderisi, che segna sei gol, tutti decisivi. Parte con i riflettori puntati addosso, la nuova Juve di Trapattoni, impreziosita dai gioielli Platini e Boniek. Tutti la danno come favorita, un attacco con Rossi, Bettega, Platini e Boniek sulla carta è da urlo. Invece, come succede spesso, i profeti hanno vita difficile. Proprio come la Signora, che parte male e si ritrova a fare i conti con i problemi muscolari di Platini, che non ingrana. È l'anno della Roma di Liedholm, di Falcao, e contro il destino non si può andare. L'idea è quella di prendersi una bella rivincita in Coppa dei Campioni. Il sogno infinito. Sembra fatta, quando la Juventus arriva alla finalissima di Atene, il 25 maggio dell'83 contro l'Amburgo. Sugli spalti ci sono cinquantamila italiani, è come giocare in casa. Invece, arriva il gol di Magath al nono minuto a raffreddare i cuori. Una doccia ghiacciata, la Juve europea si spegne lì, a un passo dal grande traguardo. Trapattoni pensa seriamente ad andarsene, Boniperti lo trattiene. Lui resta, e reagisce. Porta il suo gruppo al successo in Coppa Italia e nel Mundialito per club. A fine stagione, Dino Zoff dice basta. È stato una bandiera della Juve e della Nazionale, ha vinto abbastanza per chiudere, a quarant'anni, una carriera splendida. Stagione 83-84. Si accende il Re Michel Platini, finalmente libero dai problemi fisici, fa esplodere sul campionato italiano la sua classe infinita. Risultato: tanto fosforo da illuminarci il gioco della squadra, con l'aggiunta di un grappolo di gol importanti. Alla fine saranno venti, e porteranno Roi Michel dritto sulla vetta della classifica marcatori. In porta, il totem Zoff è sostituito degnamente dal giovane Stefano Tacconi. Insomma, la Juventus è pronta a ripartire di slancio. Arriva lo  scudetto numero ventuno, ma arriva anche la Coppa delle Coppe, che per la prima volta finisce nella bacheca di Galleria San Federico. Il re delle notti d'Europa è Zibì Boniek, molto più indecifrabile in campionato. Finale a Basilea, 16 maggio dell'84: Juventus-Porto 2-1, è proprio Zibì a mettere l'impronta sul trofeo internazionale più importante della storia bianconera. Solo un inizio, per Trapattoni. Lui preferisce parlare di trampolino di lancio verso la coppa che ancora manca, quella più sognata dal popolo juventino. Lui pensa alla Coppa dei Campioni, sente che il traguardo è vicino...Stagione 1984/85. Il campionato finisce presto, per chi è partito col dovere di difenderlo. Troppi problemi, per Tra­pattoni. La stanchezza di Platini, spremuto dalle partite dell'Euro­peo vinto con la maglia della Na­zionale francese; gli infortuni di Brio; gli addii annunciati prema­turamente da Rossi, Boniek e Tardelli. È l'anno del Verona di Ba­gnoli e dell'ariete Elkjaer, viag­giano forte anche Inter, Torino e Sampdoria. Trapattoni intuisce che il campionato è perduto e si butta sull'Europa. Nel mirino c'è un obiettivo immenso, la Coppa dei Campioni. La Juve scalda i muscoli vincendo la Supercoppa europea, contro il Liverpool, 2-0 a Torino il 16 gennaio '85 con una doppietta di Boniek. E ritrova il Liverpool nella finale di Coppa Campioni, il 29 maggio allo stadio Heysel a Bruxelles. Dovrebbe essere la data di una serata di fe­sta, passerà alla storia del calcio come uno dei suoi giorni più tra­gici: sulle tribune del vecchio, ob­soleto Heysel, si scatena la follia degli hooligans inglesi. La gente fugge, tanti restano schiacciati contro le reti di recinzione. Scene apocalittiche, quando la polizia belga riesce a riportare la calma è troppo tardi, ed è una calma mortale: trentanove corpi restano a terra. In campo, dopo una sospensione, la partita riprende in un clima surreale. Motivi di ordine pubblico, si dirà poi. E la Juventus vince il trofeo a cui teneva di più nella notte insanguinata di Bruxelles, e non può far festa. Nessuno sorride, nessuno è felice. Il segno di quella notte dannata resterà nell'anima di tutti quelli che c'erano. Stagione 1985/86 Manca ancora un trofeo, nella bacheca bianconera. Trapattoni si mette al lavoro per portare a Torino la Coppa Intercontinentale. La conquista l'8 dicembre 1985 a Tokyo. È una vera battaglia, contro l'Argentinos Juniors. Finisce 2-2 dopo i supplementari, 6-4 ai rigori. Quello decisivo, guarda un po', lo segna Michel Platini. In campionato la Juve parte fortissimo: otto vittorie nelle prime otto partite, primato che fino a questo momento apparteneva soltanto a un'altra Juve, la prima del favoloso quinquennio degli anni '30, quella della stagione 1930-31 per intenderci. A metà campionato i bianconeri hanno 26 punti, ed è sempre record, ma quando sembra che il gioco sia più facile del previsto arriva l'affanno. C'è il ritorno della Roma, c'è la strenua resistenza dei ragazzi del Trap, cose che danno un gusto vivo al torneo. Concentrarsi sul campionato costa caro in Coppa Campioni, dove i bianconeri vengono eliminati dal Barcellona. Finisce in gloria, l'ultima stagione del Trap, con il ventiduesimo scudetto e l'impronta bianconera sul mondo. Abbastanza per crogiolarsi nell'oro della gloria, se non ci si chiamasse Giovanni Trapattoni. Il condottiero ha già deciso, il suo ciclo bianconero è terminato. Di lì a un anno, se ne andrà anche l'ultimo e il più grande dei suoi guerrieri, quel Michel Platini che quando arrivò in Italia era un magnifico anarchico del pallone, e che sotto le cure del Trap è diventato cuore, cervello e motore della Juventus e della Francia. Il migliore, per farla corta. Dominatrice in Italia e in Europa a cavallo tra gli anni 70 e 80.L'incontro fra la Juve e il Trap avvenne in sordina. Il tecnico milanese, conclusa una brillante carriera di calciatore, aveva ereditato dal Cesare Maldini la panchina del Milan nelle ultime sei giornate del campionato '73 - '74, era stato poi il secondo di Giagnoni ('74 - '75) ed aveva infine guidato la squadra rossonera al 9 posto del '75 - '76. Era conteso da Atalanta e Varese quando Giampiero Boniperti, dopo la morte di Picchi, verificate le eccellenti referenze che aveva avute sul suo conto, lo chiamo' e gli offrì la guida della Juve. Si incontrarono in un motel a meta' strada fra Torino e Milano. Senza nascondere un pizzico di imbarazzo e di soggezione, Trap accetto'. Fu presentato con un comunicato rimasto storico per l' involontaria ilarita' suscitata. Recitava, in poche parole che, "andando in pensione per raggiunti limiti di età il responsabile del settore giovanile Ugo Locatelli, questi veniva rimpiazzato da Cestmir Vycpalek, Parola passava al settore osservatori e quindi la prima squadra era affidata a Giovanni Trapattoni". Non suscito' ilarita', soprattutto negli avversari, la Juve del Trap, che aveva voluto, in cambio di Capello ed Anastasi, due elementi di cui si fidava ciecamente: quel Romeo Benetti che anni prima la Juve aveva follemente ceduto alla Samp con l'aggiunta di 270 milioni per un frillino come Bob Vieri (!) e quel Boninsegna da anni considerato alla frutta ma che continuava a non trovare eredi altrettanto caparbi. Dai cambi la Juve aveva incassato, a conguaglio, oltre un miliardo. L'esordio del Trap, malgrado gli impacci iniziali, fu eclatante: scudetto a 51 punti, dopo un esaltante testa a testa contro l'irriducibile Torino, e conquista a Bilbao della Coppa Uefa, primo trofeo internazionale della Juve. E così quel biondino accolto con una certa diffidenza per i suoi trascorsi milanisti ma che in panchina si faceva rispettare, e non solo per il caratteristico fischio che usava per richiamare l' attenzione dei propri giocatori, divento' presto un idolo dei tifosi. Piaceva per la sua semplicità, la disponibilità, la schiettezza che esibiva nei rapporti col mondo esterno. Nella stagione successiva il Trap bisso' il titolo e sfiorò la finale di coppa dei Campioni, preclusa da una semifinale stregata - quella col Bruges allenato da Ernst Happel - condizionata soprattutto dagli errori dell'inqualificabile arbitro svedese Eriksson. L'avvocato Agnelli, dapprima diffidente, ne resto' conquistato. Lo chiamava quasi tutte le mattine, fra le sei e mezzo e le sette. Gli chiedeva di tutto: dall'umore dei campioni, alla crescita dei ragazzini. E parlava molto di futuro. La Juve del Trap cominciava ad assumere una propria fisionomia: accanto ai veterani (Zoff, Furino, Benetti, Boninsegna e Bettega) crescevano giovani promettenti come Scirea, Tardelli, Cuccureddu, Gentile, Cabrini. All' insegna dell' equilibrio. "Una squadra e' come un rosone - amava dire il Trap - in cui ogni elemento deve essere collocato al posto giusto: se salta l' armonia, addio". A quel punto il ("difensivista") Trapattoni cullo' un progetto ambizioso: un tridente con Roberto Bettega al centro e Paolo Rossi e Virdis ai fianchi. Causio, per la realizzazione di questo progetto, era stato gia' promesso al Napoli, quando Boniperti si fece soffiare clamorosamente Paolo Rossi alle buste da Giussy Farina. Progetto rinviato e tutto come prima. Dopo due stagioni interlocutorie anche in coppa dei Campioni, la seconda impennata. Arrivo' lo scudetto di Liam Brady, lo scudetto della praticita' , della concretezza, dell' organizzazione di gioco, Tardelli ormai maturo e giovani virgulti come Fanna, Marocchino e Virdis. E bis l'anno dopo ('81 - '82) con la crescita di Brio, Marocchino, Galderisi e Virdis. Ma era l' anno della svolta. Alla vigilia dei mondiali l'Avvocato scende in campo e "arpiona" Michel Platini e Zibì Boniek. Trap si trova a gestire l'inserimento dei due campioni in una squadra che aveva dato il telaio (compreso il recuperato Paolo Rossi) all'Italia campione del mondo. La prima stagione e' difficile, anche per i problemi (fisici e non) incontrati da Michel Platini. Lo scudetto va alla Roma inesorabile rivale dei bianconeri, ma - dopo la delusione della finale di Atene contro l'Amburgo del solito Happel - si apre un nuovo ciclo: scudetto e coppa delle Coppe nell'84, Supercoppa e coppa dei Campioni nell'85. E' una Juve meno prepotente ma più spettacolare di quella del '77, una Juve segnata dall' intelligenza e l'eleganza di Platini e Scirea, dalla potenza di Boniek, dall'aggressività di Tardelli, Gentile e Cabrini, dalla generosità di Bonini. Una Juve che quando vuole fa spettacolo e risultati. Per Trap sembra tutto facile, ma e' il periodo più difficile. Deve domare le personalità di grandi campioni, la voglia di libertà di un Platini che andrebbe sempre all'attacco e di un Boniek anarchico come pochi. E deve combattere coi denigratori che contano solo quello che non vince anzichè i suoi successi, attribuendo questi ultimi all'ala protettrice di Boniperti. Trap si ribella, finalmente. "Quando si ha la possibilità di lavorare con un presidente come Boniperti - spiega - che fa parte della storia del calcio, sarebbe idiota non confrontarsi con lui. Sono stato onorato di aver potuto farlo tutti i giorni. Ma questo non ha mai tolto nulla alla mia autonomia". La Juve comincia a stargli stretta. Vuol dimostrare, agli altri ma anche a se stesso, che sa vincere senza la Juve. Ed emigra all'Inter nell'86, non prima di aver regalato alla Juve il 6 scudetto, uno dei più sofferti ed a divorzio ormai abbondantemente annunciato.

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