Pagine

La Juventus dei records

Con l'avvento alla presidenza di Edoardo Agnelli e sotto la guida dell'allenatore Carcano, giungono a Torino Caligaris, Ferrari, Borel II, Varglien e gli oriundi argentini Orsi e Monti. La Juventus entra nella storia del calcio italiano vincendo cinque scudetti consecutivi. La Juventus delle Meraviglie, quella dei cinque scudetti di fila, parte da questa stagione. Il presidente Edoardo Agnelli e il suo vice, il barone Giovanni Mazzonis, infilano al loro posto gli ultimi tasselli di un mosaico che risulterà vincente. Dall'Alessandria arriva il nuovo tecnico, Carlo Carcano. Porta con sé un mediano di classe purissima, Giovanni Ferrari. "Giuanin" non è un corridore, ma ha piedi d'oro e cervello fino. Sa trovare i compagni in campo con passaggi perfetti e diventa il motore e l'anima della squadra. In attacco, la Signora ha un'anima sudamericana, fatta di estro e fantasia: le invenzioni sono di Raimundo "Mumo" Orsi e di Renato Cesarini, ai quali si affianca Giovanni Vecchina, arrivato dal Padova e subito rivelatosi pedina fondamentale per la Juve che vuole lasciare il segno sull'Italia del pallone. In difesa nasce il mito del trio Combi-Rosetta-Caligaris. Così diversi, in campo e nella vita, e così complementari. Epilogo quasi scontato: la Juventus vince lo scudetto, il terzo della sua storia dopo quelli del 1905 e del 1925-26. L'idea di un ciclo che si apre è nell'aria, la conferma arriverà con i risultati delle stagioni seguenti. Quando arriva a Torino, Luisito Monti ha l'aria di un ex calciatore. In Argentina ha smesso di giocare da mesi, è sovrappeso e i tifosi bianconeri storcono il naso pensando a quale apporto potrà mai dare alla Juventus campione d'Italia uno che dalle sue parti è soprannominato "Doble ancho", armadio a due ante. Invece, il nuovo acquisto fa un mezzo miracolo: in pochi mesi perde venti chili di peso, torna in perfetta forma e va a completare la linea mediana portando un contributo di potenza e forza fisica. A trent'anni, "Luisito" inizia una seconda giovinezza che due anni più tardi lo porterà in maglia azzurra e nel '34 gli regalerà un titolo mondiale. L'altra faccia nuova è quella di Luigi Bertolini, fortemente voluto da Giovanni Ferrari che lo aveva alle spalle nell'Alessandria. Una meteora, invece, il passaggio in bianconero dell'argentino José Maglio. Arrivato con Monti, ma assalito subito dalla nostalgia di casa, si chiude in se stesso e non lega con i  compagni. Gioca diciassette partite e improvvisamente scompare da Torino e dall'Italia, e per come aveva vissuto i giorni bianconeri non si può dire che lasci un vuoto. Il primo, grande colpo del mercato di Agnelli e Mazzoni è Pedro Sernagiotto, brasiliano chiamato a sostituire l'argentino Maglio, uno che a differenza del predecessore sa subito farsi voler bene. Il "carioca" va a inserirsi sulla destra in un tridente d'attacco che a sinistra ritrova il grande Mumo Orsi e al centro fa esordire in maglia bianconera un ragazzo di appena diciassette anni. Si chiama Felice Placido Borel, figlio e fratello di giocatori juventini, scoperto dal barone Mazzonis nei Balon Boys di Torino. I tifosi bianconeri lo soprannomineranno "Farfallino", perché in campo la sua leggerezza è impareggiabile. Ma c'è anche tanta sostanza, che si traduce in ventinove reti in ventotto partite, media altissima che contribuisce alla conquista del terzo scudetto di fila dell'era Carcano. Eppure la Juventus era partita al ralenty, perdendo alla prima giornata sul campo dell'Alessandria e alla terza su quello del Napoli di Attila Sallustro. Poco alla volta, i bianconeri recuperano il terreno perduto nei confronti di Torino, Napoli e Bologna. La festa tricolore continua. I vecchi leoni non hanno perso il vizio di ruggire. Attaccano ancora il campionato con una forza incredibile, nonostante molti di loro viaggino da tempo sopra i trent'anni. Gli anziani del gruppo sono il portiere Combi, titolare dal 1921, Luisito Monti, Rosetta e Caligaris, Mumo Orsi. La Juventus gioca finalmente su un campo degno del blasone di una squadra da primato: il 29 giugno 1933, in occasione dell'incontro di ritorno con l'Ujpest di Coppa Europa, era stato inaugurato il nuovo impianto, capienza sessantamila spettatori, intitolato a Benito Mussolini, data l'epoca. Vincere lo scudetto è un'impresa più faticosa del previsto, l'Ambrosiana di Meazza, Serantoni, Pitto e Demaria è un avversario tenace. Ma proprio nelle ultime battute del torneo, quando i milanesi accusano un calo di condizione, esce progressivamente il gran lavoro fatto dagli juventini, sulle ali di una preparazione mirata e curata nei dettagli da Guido Angeli, preparatore atletico padovano che si occupa anche della Nazionale. La Juventus è campione d'Italia per il quarto anno consecutivo, record assoluto per il calcio italiano. Di lì a poco, inizieranno i Mondiali: Vittorio Pozzo porterà in azzurro Combi, Monti, Bertolini, Ferrari, Orsi, Borel II e Rosetta. A tutti toccherà l'onore e la gioia di tenere tra le mani la Coppa Rimet e di entrare nella storia del calcio italiano e mondiale. L'età dei campioni comincia a farsi sentire. Mille battaglie logorano i guerrieri, e la Juventus arriva naturalmente alla fine di un ciclo irripetibile. La macchina potente perde i pezzi giorno dopo giorno. Dopo il titolo mondiale ha chiuso col calcio Giampiero Combi, il numero uno e capitano azzurro. A marzo anche Raimundo Orsi torna in Argentina, perché certi venti di guerra lo allarmano parecchio. A febbraio, per "motivi personali" che non hanno nulla a che vedere con la conduzione tecnica (in realtà, le voci di una presunta omosessualità dell'allenatore si erano fatte troppo insistenti per essere tollerate dal regime fascista), Carlo Carcano, timoniere di quattro scudetti, viene allontanato e la panchina viene affidata all'ingegner Gola, dirigente e accompagnatore ufficiale della squadra, fino al termine della stagione. È una Juve più stanca, ma sa vincere ancora. Per quasi tutta la stagione insegue la Fiorentina, partita fortissimo, e nel finale approfitta del crollo dei viola per aggiudicarsi il quinto scudetto di fila, che è anche il settimo nella storia bianconera A questo punto, la Juve è già diventata la Signora del calcio italiano. Amata in tutta la penisola, perché ovunque la gente innamorata del calcio si riconosce in questo gruppo protagonista di una cavalcata vincente durata cinque anni. Paradossalmente, la Juventus raccoglie meno affetto a Torino, che si stava trasformando, proprio grazie alla Fiat, in una città industriale ad alta concentrazione operaia. La Juve era, per i torinesi, la squadra delle classi alte, la squadra "degli Agnelli", mentre il Torino era la squadra popolare. In più, c'è una specie di buco nero in questi cinque anni di travolgenti successi in campo nazionale: fuori dai confini patrii, il bianconero non conquista terreno. In Coppa Europa sono rimpalli continui: contro le prime della classe di Cecoslovacchia, Ungheria e Austria lo squadrone di Carcano non gira, o si inceppa improvvisamente quando sembra finalmente arrivato il suo momento. E trova, anche, l'ostilità dei popoli stranieri, agli occhi dei quali rappresenta un regime inviso. Va meglio il Bologna, in giro per il continente, e infatti porta a casa due volte la Coppa Europa per club. Epilogo di un grande volo. L'ultimo scudetto della Grande Juve coincide con la fine improvvisa e violenta dell'uomo che l'ha presa per mano e guidata verso la leggenda: il presidente Edoardo Agnelli muore in un incidente aereo, colpito a morte da un'elica dell'idrovolante pilotato dall'asso dei cieli Ferrarin, durante un ammaraggio davanti al porto di Genova. E il 14 luglio del '35, l'ingegnere aveva appena 43 anni. Per un tragico destino, con la sua vita si chiude il ciclo della Juve dei record.

Nessun commento:

Posta un commento