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Il Vicenza del sogno Europeo

Dei suoi tempi “Real”, poco dopo la metà dei settanta, il Vicenza conservava ancora ricordi indelebili: secondo posto in campionato ed esordio in Coppa UEFA, un nugolo di giornalisti ed addetti ai lavori completamente incantati dal calcio espresso dai ragazzi di Gibì Fabbri ed i gol di un attaccante, Paolo Rossi non ancora “Pablito” di argentina memoria, che farà la fortuna di tutta l’Italia calcistica al Mundial 1982. Ma il volo del Lanerossi fu come quello del buon Icaro: una volta toccato il sole, cominciò rapido il declino, che portò la squadra subito in B, poi addirittura in terza serie. Il glorioso Lanerossi, venti campionati consecutivi in A tra il 1955 e il 1975 e un blasone grande quanto la classe dei due Palloni d’Oro lanciati nel grande calcio (il già citato Paolo Rossi e il grande Roberto Baggio), scompare all’alba degli anni novanta. Il club viene rilavato dall’industriale tessile Pieraldo Delle Carbonare, diviene semplicemente Vicenza Calcio e viene affidato alle sapienti mani di Sergio Gasparin. La promozione in cadetteria viene colta nella stagione 1992/93: in panchina siede Renzo Ulivieri, che lascerà i suoi ragazzi al termine della successiva stagione, dopo aver conquistato la salvezza. Il ritorno tra i grandi è dietro l’angolo, stagione 1994/1995: i ragazzi di Guidolin, mister rampante e ricacciato dalla A dopo un assaggio poco fortunato con l’Atalanta, guidati sul campo dalla bandiera Mimmo Di Carlo, da Fabio Viviani e da Roberto Murgita, colgono il terzo posto in Serie B che vale la massima serie. La grande avventura dei biancorossi nella Coppa delle Coppe 1997/98Il primo anno di A è da incorniciare: gli arrivi degli stranieri Otero, Bjorklund e Mendez, la conferma dell’allenatore e del gruppo storico ed un gioco divertente conducono i biancorossi ad un’agevole salvezza, conquistata con forte anticipo e suggellata dall’ottimo nono posto finale. La seconda stagione è paragonabile ad una vera leggenda: i biancorossi cominciano alla grande il campionato, assaggiano in novembre anche il primato, a vent’anni esatti dalle gesta del “Real” di Fabbri, Rossi e Filippi  Il volo in campionato dura il giusto, e si conclude comunque con un ottavo posto che sa di impresa. Il vero teatro dei sogni è però la Coppa Italia: i ragazzi di Guidolin, dopo aver eliminato Lucchese e Genoa, si trovano di fronte al Milan per i quarti di finale. Il doppio pareggio (1-1 a San Siro con reti di Baggio e Ambrosetti e 0-0 al “Menti”) schiude alla matricola terribile le porte della semifinale, da disputarsi contro il Bologna dell’ex Ulivieri, altra grande sgualcita dal tempo e dalle crisi appena risalita tra i grandi. Il Vicenza passa di misura in casa grazie alla rete del centravanti genovese Murgita, pareggiata al ritorno del “Dall’Ara” dalla rete del bolognese Scapolo; tocca a Cornacchini, a soli due minuti dal termine, regalare ai biancorossi il pass per la prima storica finale di Coppa Italia.Magic Moments biancorossi. Ad attendere il Vicenza c’è il Napoli, che, nonostante i buoni risultati iniziali ed il convincente cammino in Coppa, ha appena licenziato il buon Gigi Simoni per lasciar campo all’uomo di casa Montefusco: all’andata, nella bolgia di un San Paolo stracolmo, gli uomini di Guidolin riescono a limitare il passivo. 1-0, rete di Pecchia, fine delle trasmissioni, appuntamento al “Menti”. Vestito a festa e pieno come un uovo, lo stadio del Vicenza si rivela amaro per i colori azzurri: il gol di Pecchia viene immediatamente pareggiato dal tap-in vincente di Gimmy Maini, che trascina così la gara sino ai tempi supplementari. Il minuto di grazia è il centodiciottesimo: calcio di punizione per i biancorossi, destro secco di Beghetto, Taglialatela arpiona male e Maurizio Rossi è il più lesto di tutti a presentarsi all’appuntamento con la storia. La festa del Vicenza diventa tripudio assoluto quando il giovane Ianuzzi, grande promessa persasi poi nel firmamento del calcio italico, chiude i conti di un perentorio quanto inappuntabile 3-0. La folla del Menti porta in trionfo un gruppo fantastico, che in soli quattro anni è passato dal vivacchio in terza serie sino alla vittoria in Coppa Italia ed al ritorno in Europa. Il buon Gibì Fabbri ed il bonario Paolo Rossi sorridono: il “Real” ha un erede biancorosso pronto a recitare di nuovo nel teatro dei sogni del calcio internazionale. Gli artefici del sogno possono cullarsi in un meritato fregiarsi di gloria: a Gasparin tocca tenere una lezione all’Università di Pavia per raccontare come è possibile trasformare una società allo sbando in una macchina che vale più di venti miliardi di lire (“Quando andai negli USA a spiegare che avrei lasciato il mio lavoro da manager all’ azienda per prendere il controllo di una squadra di terza serie, gli americani credevano che li stessi prendendo in giro”), mentre il mister Guidolin sfila al forum degli industriali veneti per spiegare come ha motivato i suoi ragazzi (“Al mio arrivo a Vicenza trovai una squadra ben allenata e disposta ad ubbidire. Ma nessuno aveva il coraggio di alzare gli occhi. Io volevo persone vive”).Il meglio comunque deve ancora arrivare: la stagione 1997/98, la terza in serie A, si apre con gli acquisti di gente destinata a lasciare il segno: arrivano infatti Pasquale Luiso, Roberto Baronio, Francesco Coco, Arturo Di Napoli, Lamberto Zauli, Marco Schenardi, Lorenzo Stovini e Massimo Ambrosini, mentre salutano la compagnia Murgita e Gimmy Maini. In campionato, l’inizio è tranquillo ed in linea con le aspettative, pur senza i picchi di risultati e rendimento toccati l’anno precedente; in Coppa Italia c’è invece da ingoiare una pesante eliminazione per mano del Pescara, squadra di Serie B. I biancorossi riescono però dove fallì persino il “Real” di Fabbri: il sorteggio europeo è abbastanza duro, e riserva al Vicenza lo scontro con i polacchi del Legia Varsavia. L’emozione del nuovo debutto, datato 18 settembre 1997, dura un nonnulla: al termine del primo tempo è già 2-0, a segno Luiso e Ambrosetti. Il doppio vantaggio dura sino al termine, e permette ai ragazzi di Guidolin di amministrare con tranquillità il match di ritorno in Polonia. Il Legia, caricato dal suo pubblico, riesce solo a dimezzare lo svantaggio, con un gol di Kacprzak, facendosi poi beffare in contropiede, a tre minuti dalla fine, dal gol di Zauli, che spinge il Vicenza agli ottavi di finale. Ad attendere i ragazzi di Guidolin lo Shaktar Donetsk, squadra ucraina destinata ad un luminoso futuro ma ancora immersa in uno stato di anonimità pressoché totale: il Vicenza approfitta del turno favorevole, sconfiggendo i rivali sia in trasferta (3-1, doppietta di Luiso, rete di Beghetto e gol della bandiera dell’ucraino Zubov) che al Menti (2-1, con gol del solito Luiso e di Viviani inframmezzati dal momentaneo pareggio di Atelkin, futura meteora del Lecce). Mentre in società si è appena concluso il passaggio di consegne tra il Delle Carbonare e una finanziaria inglese mai troppo amata e benvoluta dalla città, i ragazzi di Guidolin continuano nel loro tranquillo campionato e si apprestano a disputare i quarti di finale di Coppa delle Coppe: il sorteggio pone di fronte ai biancorossi il Roda Kerkrade, squadra olandese di modeste tradizioni. Il Vicenza fa valere l’enorme divario tecnico tra le compagini con una doppia goleada. In Olanda finisce 4-1: grande partita del tornante Schenardi, che realizza gli assist per i primi due gol di Luiso e Belotti. Il “Toro di Sora” si ripete a cinque minuti dalla fine del primo tempo, sfruttando un assist di Zauli, che si ripete nella ripresa ed apre la strada al gol dell’uruguagio Otero. Il gol della bandiera dei gialloneri è ad opera di Peeters. Il giorno della festa del papà del 1998, a Vicenza, è di scena il ritorno: i ragazzi di Guidolin, bulimici di gol ed applausi, ci prendono gusto: 5-0, con cinque marcatori diversi (Luiso, Firmani, Mendez, Ambrosetti e Zauli). Un divario enormei tra le due squadre, con i tifosi del Vicenza, impietositi, che a un certo punto iniziano a sostenere gli sforzi del Roda per arrivare al gol della bandiera... E' quindi semifinale. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti: il Vicenza è pronto a giocarsi la sua prima finale europea e condivide la stessa urna con Chelsea, Stoccarda e Lokomotiv Mosca, a soli tre anni dal ritorno in serie A. Brivio, Belotti, Mendez, Dicara, Viviani, Schenardi, Di Carlo, Ambrosini, Ambrosetti, Zauli, Luiso. Ecco gli undici in campo la sera del 2 aprile 1998. Vicenza e l’Italia del calcio si fermano: i biancorossi di Guidolin sfidano il Chelsea per la semifinale di andata di Coppa delle Coppe. Proprio il Chelsea “italiano”, che schiera gente come Zola, Leboeuf, Di Matteo e Vialli, e che solo qualche mese addietro ha licenziato l’altro mezzo “italiano” del gruppo, l’allenatore Gullit, per affidarsi alle doti da mister dello stesso Vialli, primo allenatore-giocatore italiano arrivato a giocarsi una semifinale europea. Per blasone, nomi in campo, trofei vinti e bookmakers, la partita non dovrebbe avere storia: i carneadi vicentini, invece, come nelle migliori sceneggiature, riescono a tenere testa ai “Blues”, portandosi in vantaggio al quindicesimo con un gol capolavoro del solito Lamberto Zauli (aggancio volante al vertice dell’area, dribbling a rientrare e sinistro piazzato nell’angolino opposto), e difendendo egregiamente il punteggio sino alla fine del primo tempo. Al ritorno in campo, gli inglesi appaiono molto più determinati e convinti: sfiorano il gol in diverse occasioni, per poi accontentarsi dello 0-1 e decidere di giocarsi il tutto per tutto nel ritorno di Stamford Bridge, in programma il 16 aprile. Il Vicenza che ha stupito l’Europa si presenta in Inghilterra in formazione-fotocopia, convinto di poter tenere nuovamente testa ai “Blues” e alla loro meravigliosa platea. L’inizio della gara, giocata sotto la pioggia che fa quasi sempre da cornice alla capitale inglese, sembra ancora una volta dare ragione a Guidolin. Al contesto e all’evento del minuto trentadue mancano solo zucca e topolini per entrare in “zona-favola”: dribbling secco di Zauli, meravigliosa scucchiaiata a metà tra Ambrosetti e Luiso e secco diagonale a mezz’altezza di quest’ultimo. De Goey è battuto.Il “Toro di Sora”, attaccante di irruenza e spirito di sacrificio incredibili (“Crossatemi una lavatrice e colpirò di testa anche quella”: eloquente manifesto del “Luiso-pensiero” riguardo al gol), mette a segna il suo ottavo gol in Coppa delle Coppe, imita Batistuta al Camp Nou zittendo Stamford Bridge e porta in discesa la gara dei berici. Al Chelsea ora servono tre gol per giungere in finale: purtroppo, il primo arriva dopo soli tre giri di lancette. Il marcatore è l’uruguagio Poyet, che approfitta di una corta respinta del portiere vicentino Brivio ed in acrobazia firma l’1-1 che riporta la situazione al punto di partenza. Il primo tempo termina con il risultato ancora in parità, ma solo dopo le timide polemiche per un gol, probabilmente regolare e ancora di Luiso, non concesso ai veneti per fuorigioco. La ripresa si apre, purtroppo, col botto-Chelsea: grande progressione sull’out destro di Vialli, cross al centro per Zola, che, tutto solo a centro area, può comodamente incornare in rete il pallone del 2-1. A questo punto, ai “Blues” manca un solo gol. Vialli pesca dal suo mazzo la carta decisiva, sostituendo Morris con il vecchio leone Hughes: al minuto numero settantasei, l’ex attaccante di Manchester e Barcellona sfrutta un lunghissimo rilancio di De Goey ed un errore di Dicara, battendo Brivio con un meraviglioso diagonale incrociato di sinistro. Il 3-1 esalta Stamford Bridge e abbatte i veneti, incapaci di reagire nonostante gli ingressi di Otero e Di Napoli. La gara si chiude con l’espulsione di Ambrosini e l’ultimissima occasione, fallita da Di Napoli e Luiso a soli quattro secondi dalla fine. Sipario. Il Vicenza, dopo aver coinvolto in un sogno meraviglioso tutti gli sportivi italiani, esce sconfitta a testa altissima dalla semifinale dopo un torneo straordinario: I ragazzi di Guidolin portano il loro bomber Luiso in vetta alla classifica cannonieri di Coppa delle Coppe, ma, ad un passo dal sogno, devono cedere il passo al maggior tasso di esperienza del Chelsea, che, ancora grazie a Zola, riuscirà in finale ad avere la meglio sullo Stoccarda. Applausi a scena aperta e ringraziamenti senza fine ad una provinciale che incarna i valori più buoni dello sport e che ha saputo conquistarsi il rispetto, la simpatia e l’ammirazione di un intero continente. Il Vicenza chiude la stagione 1997/98 ad un solo punto dalla zona retrocessione: l’impegno europeo assorbe gran parte delle energie dei berici, che grazie al buon rendimento dell’andata riescono a rendere indolore il pessimo girone di ritorno disputato (soli quindici punti conquistati). Al termine della stagione, si consumano gli inevitabili divorzi con tutti i grandi artefici del sogno europeo: Guidolin passa all’Udinese, Ambrosini e Coco tornano al Milan ed anche Gasparin lascia l’incarico. In panchina è il turno di Franco Colomba, che dura venti tumultuose giornate: la squadra, nonostante le conferme degli alfieri Luiso, Otero, Schenardi, Zauli ed Ambrosetti, non gira, e lo spettro della retrocessione si fa sempre più minaccioso, fino a materializzarsi completamente dopo l’undicesima sconfitta esterna, patita a Salerno nella penultima giornata di campionato. Il successivo campionato di B è trionfale: primo posto ed immediato ritorno in serie A, con Reja in panchina ed un nuovo giovane fenomeno, Gianni Comandini (autore di ben ventuno reti), a far coppia con Pasquale Luiso in attacco. La gioia è effimera: la retrocessione sarà immediata e dolorosissima, così come sarà difficile da digerire la serie, ancora ininterrotta, di dideci campionati di serie B consecutivi, vissuti sempre sul filo di una mediocrità che poco si addice col blasone aristocratico che veste su misura, ormai da tempo immemore, la squadra biancorossa. Omaggio a Francesco Guidolin, l'artefice del sogno europeo del Vicenza.  Londra è lontana, ed il Chelsea, che tanto aveva patito per buttar fuori i berici dalla Coppa delle Coppe, spadroneggia in giro per l’Europa con campioni purtroppo inavvicinabili al calcio vicentino d’oggi. Il buon Gibì Fabri, il giovane profeta Guidolin, oggi affermato allenatore di Serie A, Rossi e Filippi, Zauli e Luiso aspettano ancora di trovare degli eredi che riescano a riportare a Vicenza momenti di gloria colorati di biancorosso.

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