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Casale...gloria del passato

È il 1905 e viene fondata a Casale Monferrato una squadra chiamata Robur F.B. La divisa è costituita da una maglia nera con due cordicine, una rossa e l’altra verde, attorcigliate sulle maniche. Fu Cavasonza, uno dei migliori giocatori della squadra, a proporre di togliere quei due legacci ingombranti e di sostituirli con una stella bianca, ricavata da un foglio di quaderno, fissata con uno spillo sul petto. Nasce, in questo modo, la gloriosa casacca nerostellata, in contrasto con la maglia completamente bianca della Pro Vercelli. C’è da ricordare, che la rivalità tra i due capoluoghi è ancestrale, risale, infatti, ad un episodio storico: l’incendio e la distruzione di Casale, nel 1215, per opera delle milizie del vescovo di Vercelli. L’indifferenza, però, della popolazione casalese, causò lo scioglimento della Robur ed il neonato sport, rischiò di sparire dal capoluogo piemontese. La gloriosa casacca nerostellata nasce in contrasto con il candore dei rivali della Pro Vercelli Nel 1909, un professore dell’Istituto Tecnico “Leardi” di Casale Monferrato, Raffaele Jaffe, al ritorno da una breve passeggiata, incontra un gruppo di suoi studenti che si stanno recando ad assistere ad una partita di calcio, nel vicino comune di Caresana. Convinto dai giovani, il professore si aggrega ed assiste alla gara, entusiasmandosi talmente tanto da impegnarsi personalmente per riportare il calcio a Casale. Il 18 dicembre 1909, in un’aula dell’istituto “Leardi”, nasce ufficialmente il Casale Football Club: il presidente della società è lo stesso professor Jaffe, il presidente onorario il professor Gerolamo Occoferri, preside dell’istituto. Viene scelta la casacca nerostellata della Robur ed il primo terreno di gioco è molto piccolo e di dimensioni non regolamentari, misurando solamente 46 metri per 90. Si tratta di una squadra goliardica, che fa leva sull’entusiasmo, eppure nelle sue file si intravedono futuri campioni come, per esempio, Barbesino, Gallina, Rosa, Bertinetti. In campionato, la squadra nerostellata si fa onore senza, comunque, emergere. La stagione 1912-13, però, regala al Casale la consapevolezza di essere una grande squadra ed il 14 maggio 1913, conquista la “Targa d’oro del secolo” ottenuta superando una squadra professionistica del calcio inglese d’epoca, il Reading, con due reti, una di Varese ed una di Garasso. Nel campionato 1913-14 il Casale è deciso più che mai a dare scacco matto alle più insigni rivali ed in particolar modo alla Pro Vercelli. Abbandonato il terreno di “Piazza d’Armi”, la squadra ne inaugura un altro di dimensioni regolari (65 metri per 105) raggiungendo, insieme al Genoa, la prima posizione nel girone Ligure-Piemontese, lasciandosi alle spalle la rivale vercellese.Al girone finale del raggruppamento Nord-Italia partecipano sei squadre ed i nerostellati staccano il Genoa, l’Inter e la Juventus; nelle due partite di finale, il Casale, batte nettamente la Lazio con un complessivo 9 a 1. La squadra campione schiera: Gallina I° in porta, Maggiani e Scrivano terzini, Parodi, Barbesino e Rosa mediani, Caire, Mattea, Gallina II°, Varese e Bertinotti attaccanti.Gli elementi di spicco della squadra sono Barbesino ed il trio centrale d’attacco. Mattea, Gallina II°, Varese, che costituiscono un’autentica macchina da goals.  La stessa Nazionale schiera in blocco quel potente trio per la partita dell’11 gennaio 1914 all’Arena di Milano contro l’Austria. L’incontro finisce 0 a 0: il trio casalese non segna, ma è tuttavia confermato a Berna il 17 maggio di quello stesso anno, contro la Svizzera non riuscendo, anche in quest’occasione, a sfondare, lasciando ad un compagno di squadra, Barbesino, l’onore di battere il portiere elvetico. Nel primo dopoguerra le difficoltà economiche cominciano a farsi sentire pesantemente, la fioritura dei giovani campioni consente alla squadra del Casale di destreggiarsi in un mondo calcistico nazionale in cui emergono le squadre metropolitane. Nel 1928 la squadra ottiene la partecipazione al girone finale vinto dal Torino. Escluso dal campionato a girone unico nel 1929-30, l’undici nerostellato si mette in evidenza in serie B, ottenendo la promozione e salvandosi per un punto nella stagione successiva. Tre stagioni in serie A, poi la ricaduta tra i cadetti, nonostante la squadra non sia del tutto priva di classe; pesa l’assenza di campioni come Monzeglio e Caligaris, che sono inevitabilmente passati in forza ad altre squadre più prestigiose. La retrocessione innesca un effetto a catena: si succedono ricorrenti crisi societarie e, nel volgere di tre stagioni, i casalesi si ritrovano in Prima Divisione. La squadra monferrina riesce a risalire fino alla serie B, per poi ritornare in serie C, torneo più consono alle possibilità economiche dei casalesi. Arriva la guerra, portandosi dietro lutti e sciagure; Barbesino muore nel cielo di Malta ed il professor Jaffe muore ad Auschwitz. La sorte di questa società, che nel suo albo d’oro custodisce gelosamente un titolo di Campione d’Italia, è inesorabilmente segnata, senza possibilità di recupero. La squadra era composta per 9/11 da casalesi. Capitano era Barbesino, uno dei "tre grandi", intendo dire uno dei centro-mediani che si disputavano la palma del primato. Giocava compassato, anzi un po' rigido, un'aria un po' professorale, che esercitava sui compagni un'autorità da tutti cordialmente accettata. Era un centro-mediano d'attacco, che assecondava la tendenza offensiva della squadra. Nei periodi in cui il Casale prevaleva, il suo giuoco diventava martellante, molto anche per merito di Barbesino che sfornava palloni senza interruzione. Il trio del Casale non ebbe continuatori fino al giorno in cui sorse il trio non meno famoso del Torino. Varese era il cannoniere della squadra: un tipo che stangava, dal giuoco spettacolare, la falcata potente, un tiro micidiale, uno slancio di giuoco che entusiasmava. Non era molto tecnico, ma egli non si preoccupava troppo di questa parte del suo patrimonio calcistico poiché i compiti erano divisi ed i palloni da rete andavano a finire quasi sempre a lui. Di media statura, biondo, quadrato come un torello, era proprio quello che si dice un bell'atleta. Gallina II, fratello di Gallina I, il portiere popolarissimo piantato come un gigante fra i pali del goal, era tutto l'opposto di Varese. Egli funzionava da regolatore del gioco, uomo di manovra che imbeccava or l'uno or l'altro secondo la tattica di quei tempi, in certo modo imposta dalla prima legge sul fuori-giuoco che richiedeva la presenza di tre avversari fra l'uomo che riceveva la palla e la porta opposta. Allora il centravanti era un uomo di punta ma giocava arretrato rispetto alle mezze-ali e serviva gli uomini meglio piazzati. Non bisogna però credere che Gallina fosse lento e temporeggiatore. Nel Casale il gioco si svolgeva sotto il segno della velocità, i movimenti erano istintivi, non si perdeva tempo. Le folle provinciali sono, sotto questo aspetto, esigenti, richiedono meno al gioco che all'uomo, guai a non darci dentro, a dimostrare svogliatezza. Anche Gallina obbediva quindi a questo imperativo della velocità, ciò che manteneva la squadra continuamente in tensione. Di spola, Varese ne faceva poca, ma nessuno ha mai lesinato la fatica e non accadeva mai che qualcuno terminasse fresco la partita. Il  trio giocava come una persona sola, si vedevano e si sentivano d'istinto continuamente e raramente accadeva che un passaggio finisse a vuoto. Questa era la forza di quella squadra, aggiunta a quella foga di giuoco che era una tradizione provinciale, ma che non poteva dirsi arrembaggio perché era tenuta al freno di una disciplina tecnica già molto matura per quei tempi».

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